In Algeria, non si ferma la nuova impennata di attacchi degli integralisti islamici.
Stamani, due nuove esplosioni in Cabilia, nella parte orientale del Paese hanno provocato
almeno 11 morti e 31 feriti. Il doppio attentato segue di 24 ore l’attacco kamikaze,
avvenuto sempre in Cabilia, che ha ucciso 43 reclute di un’accademia militare. Per
un’analisi della situazione nel Paese nordafricano, Gabriella Ceraso ha intervistato
Alberto Negri inviato speciale del Sole 24 ore: R. - In Algeria,
in quel terribile decennio che va dagli anni Novanta fino ai primi anni Duemila, durante
il quale c’è stato un lungo massacro nella guerra tra Forze dell’ordine e radicali
islamici, con oltre 200 mila morti e probabilmente migliaia di persone scomparse -
quel conflitto non è mai del tutto finito. Però, c’è stato un cambiamento, un salto
di qualità, perché nei primi anni Duemila è arrivata al Qaeda che, soprattutto in
Algeria, ha stretto un accordo con i gruppi locali fino addirittura ad arrivare ad
una fusione tra i gruppi islamici armati algerini e la stessa al Qaeda. In Algeria
c’è questo panorama piuttosto preoccupante: quello di un accordo molto forte di collaborazione
tra i gruppi terroristici interni e quelli di al Qaeda. D. -
Dunque, un polo del terrore che ha avuto quali conseguenze, nel Paese? R.
- Ha portato soprattutto alla destabilizzazione della regione berbera della Cabilia
dove, tra l’altro, non soltanto sono stati attaccati - come è avvenuto - stazioni
di polizia, personale della gendarmeria, ma si sono registrati anche gli unici attacchi
a lavoratori stranieri. Questo, direi, è il quadro dell’Algeria, oggi.