La Russia appoggia i separatisti osseti e abkhazi. Il dramma dei profughi
Diplomazia al lavoro per consolidare la pace nel Caucaso: la Francia ha lanciato un
appello agli altri membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU chiedendo di adottare
il prima possibile una risoluzione per far rispettare il cessate-il-fuoco. Il presidente
russo, Dmitri Medvedev, ha poi dichiarato che verrà appoggiata “qualsiasi decisione”
sullo status delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud. Le due hanno
intanto accettato il piano di pace francese. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
Ossezia del
Sud ed Abkhazia hanno detto “sì” al piano francese. Stamane i leader delle due regioni
separatiste georgiane Kokojty e Bagapsh hanno accettato, al Cremlino, le proposte
formulate dal presidente russo Medvedev. In sostanza, del loro status se ne discuterà
a livello internazionale. Già nei giorni scorsi, Mosca si diceva favorevole ad un
percorso simile a quello del Kosovo fino ad un referendum popolare. Questa interpretazione
non è condivisa né da Tbilisi né da Washington: la sovranità e l’integrità territoriale
georgiane devono essere rispettate. Il presidente francese Sarkozy non ha nascosto
che questo punto creerà numerosi problemi. Le truppe russe, nel frattempo, hanno cominciato
a ritirarsi dalla periferia di Gori, così riferisce Mosca. Restano solo unità specializzate
nello sminamento e tecnici per smontare e mettere in sicurezza un arsenale scoperto.
La polizia georgiana sta riprendendo il controllo della città abbandonata con l’avanzata
dei russi alcuni giorni fa. Tbilisi accusa che Gori è stata saccheggiata da irregolari
caucasici, giunti dal Nord. Mosca professa la sua innocenza. La guerra informativa
comunque continua. A Tskhinvali, capoluogo dell’Ossezia del Sud, l’elettricità tornerà
tra una settimana, si lavora per la fornitura dell’acqua. I panifici di nuovo funzionano,
come la televisione. Presto anche i telefoni non saranno più muti. 12mila civili restano
nella città. Gli aiuti umanitari sono sul posto.
Il
conflitto nel Caucaso ha provocato almeno 90.000 profughi, ma sarebbero 150.000 le
persone che potenzialmente potrebbero scappare dalla guerra in Georgia. E’ quanto
riferisce la Commissione europea sulla situazione umanitaria. Servono, soprattutto,
cibo e vestiti. A Gori, intanto, è iniziata la ritirata delle truppe russe. Secondo
testimoni oculari, carri armati russi sarebbero invece entrati a Poti, città portuale
sul Mar Nero. Nella capitale Tbilisi, la situazione inoltre sembra tranquilla. Ce
la descrive, al microfono di Amedeo Lomonaco, padrePawel Dyl,
missionario camilliano in Georgia:
R. – Oggi
la situazione è tranquilla. Ci sono notizie tremende dal campo di battaglia: si parla
di migliaia di morti. A Tblisi la situazione è tranquilla: la gente è triste, aspetta
nuove notizie, ci sono tanti padri di famiglia che sono stati richiamati. Ci sono
anche tanti giovani che non si sa dove siano; sappiamo che adesso c’è anche una guerra
delle informazioni e quindi è difficile avere notizie sicure.
D.
– E voi cosa vedete? Qual è la vita quotidiana che avete davanti agli occhi?
R.
– Io posso dire che da parte delle persone malate da noi assistite - persone portatrici
di handicap – c'è molto spavento; non sapevano cosa sarebbe successo in caso di attacco
dei russi. C'è anche paura per il futuro, perché sappiamo perfettamente che la Georgia
non è un Paese ricco. Noi qui assistiamo centinaia di poveri. Adesso il numero dei
poveri aumenterà ancora!
D. – E davanti a questa
paura, di fronte a questa povertà c’è però una presenza importante: la vostra ...
R.
– E’ vero. Per questo motivo io cerco di stare accanto alla gente; sono rimasto per
dare un po’ di coraggio agli altri. Noi siamo loro vicini, cerchiamo di aiutarli.
Ci sono anche tante persone di buona volontà che ci aiutano: grazie a quelle persone,
anche noi possiamo fare del bene. Facciamo quello che è possibile. Sappiamo che adesso
è il momento in cui ci saranno tanti aiuti umanitari. Sarà inviato del denaro: per
questo motivo, chiedo di versare il denaro in modo saggio, perché purtroppo ci sono
anche persone capaci di sfruttare la guerra e le disgrazie della gente.
D.
– Padre vuole lanciare un appello proprio per cercare di aiutare la Georgia? Cosa
serve realmente a questo Paese?
R. – Due cose: la
preghiera, perché ci vuole tanto tanto perdono: adesso c'è tantissimo odio perché
ci sono moltissime vittime. Dopo ci sono da assicurare le cose materiali: servono
cibo e medicinali. Si deve pensare a ricostruire tutto!
Dopo
la drammatica fase del conflitto, è giunta dunque l’ora di far placare i venti di
guerra e curare le ferite provocate dalle armi. E’ quanto sottolinea, al microfono
di Amedeo Lomonaco, padre Gabriele Bragantini, missionario stimmatino
raggiunto telefonicamente a Kutaisi, seconda città della Georgia per numero di abitanti:
R. – Non
si tratta, credo, di fare la voce grossa da parte dell’Europa o da parte dell’America:
si tratta di prendere a cuore realmente la situazione intricata di questa zona. Se
si desse un’immagine di un mondo unito non tanto per una parte o un’altra, ma per
difendere la pace, per difendere i valori della libertà, i valori di un’autonomia
di un popolo, credo che la situazione potrebbe essere diversa.
D.
– Anche perché si spera che mondi contrapposti facciano parte del passato. La guerra
fredda è una pagina che deve essere archiviata ...
R.
– Esatto, anche se all’interno di varie culture o mentalità, purtroppo poi sono i
piccoli popoli che fanno le spese di queste incomprensioni. Incomprensioni che ancora
permangono all’interno di quelli che sono i popoli pià grandi. Certi rischi non sono
del tutto scomparsi.
D. – La Russia ha chiesto che
la Georgia finanzi la ricostruzione della capitale dell’Ossezia del Sud, devastata
dal conflitto. Può un Paese come la Georgia sostenere questi costi?
R.
– No. La Georgia stava in questi anni cercando di uscire da una situazione economica
molto negativa, molto fragile; quindi, le risorse per questa ricostruzione le riceveva
dall’estero, soprattutto dall’Occidente, dall’America. Se la Georgia riuscisse un
po’ a dare una risposta concreta anche a questa zona, probabilmente sarebbe un incentivo
molto forte. Però, con le sue forze, la Georgia non ce la fa.
D.
– Padre Gabriele, parliamo adesso della presenza di voi stimmatini in Georgia: quale
contributo può dare un sacerdote quando si trova in un Paese in guerra?
R.
– La presenza del prete è sempre un segno di speranza per la gente. Un segno di speranza
anche perché può dare una parola diversa rispetto alle tante altre parole che si sentono.
E mi sembra che la gente ascolta volentieri. La gente ti incontra e prega.
D.
– Gli occhi della vostra gente sono coperti, in questi giorni, da immagini di devastazione.
Tra queste macerie si possono intravedere luci di speranza?
R.
– Certo. Però, vorrei descrivere un po’ quello che la gente sente, questa percezione
della paura per l’arrivo dei russi. Spero che non si acuisca questa idea, questa mentalità.
Credo che in questo momento si veda più la mancanza di luce. Speriamo che, con l’aiuto
di tutti, si riesca a dare un po' di luce; a volte, si ha proprio l’impressione di
essere al buio, non tanto perché manca la luce ma perché manca la possibilità di capire
quello che effettivamente sta capitando.