La Chiesa ricorda San Massimiliano Maria Kolbe sacerdote e martire
Nel martirio di San Massimiliano Kolbe “risplende il fulgore dell’Amore che vince
le tenebre dell’egoismo e dell’odio”: così ieri, durante l’Udienza generale, Benedetto
XVI ha ricordato padre Kolbe, sacerdote e martire, di cui oggi la Chiesa celebra la
memoria liturgica. Il servizio di Isabella Piro
(musica) “Vorrei
essere come polvere, per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo
e predicare la Buona Novella”: diceva così Massimiliano Kolbe. Nato in Polonia nel
1894, aveva frequentato le scuole presso il Seminario dei Frati Minori Conventuali
di Leopoli. Nel 1918, l’ordinazione sacerdotale, sulle orme di San Francesco. Lo scoppio
della Seconda Guerra Mondiale lo vede impegnato nell’assistenza di profughi e feriti,
ma la violenza nazista si abbatte anche su di lui: arrestato nel febbraio del 1941,
padre Kolbe viene deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, con il numero 16670.
A causa della fuga di un prigioniero, 10 detenuti vengono condannati a morte nel bunker
della fame. Padre Kolbe si offre al posto di uno di loro, un padre di famiglia. Per
14 lunghissimi giorni incoraggia gli altri condannati pregando la Vergine. Dopo due
settimane di stenti, sopravvivono solo in quattro, fra cui padre Kolbe. I nazisti
decidono di finirli con un’iniezione di acido fenico. Di fronte ai carnefici, San
Massimiliano tende il braccio e innalza la sua ultima preghiera: “Ave Maria”. È il
14 agosto 1941. Ma quale insegnamento resta oggi del suo gesto? Ci risponde Carmencita
Picaro, appartenente all’Istituto secolare “Missionarie dell’Immacolata
Padre Kolbe”:
“Io credo che il primo insegnamento sia stata un’esperienza
forte di coloro che erano morti con lui nel campo di concentramento. Tutti si erano
accorti che era successo qualcosa di straordinario. Si sono accorti che un uomo aveva
alzato il livello della bontà e dell’amore fino all’eroismo. Ecco, padre Kolbe, in
questa esperienza che in realtà stiamo ancora vivendo per le sofferenze dei nostri
amici della Georgia, della Russia, di tutti coloro che sono in guerra, padre Kolbe
è un segno esplosivo di luce, di speranza, che l’amore anche dove c’è l’odio può sempre
vincere”.
Centrale, nella vita di Padre Kolbe, la devozione a Maria,
in onore della quale fonda, il 16 ottobre 1917, la “Milizia di Maria Immacolata”.
Dieci anni dopo, tocca alla “Città dell’Immacolata”, un centro vocazionale costruito
nei pressi di Varsavia. Ancora Carmencita Picaro: “Lui
ha capito che Maria era il luogo scelto da Dio, il punto più alto della creazione
che torna a Dio, perché Maria in realtà è stata la sola, la grande, che ha accolto
nella sua vita totalmente Dio, lasciandosi trasformare fino all’impossibile. Per cui
Maria, per padre Kolbe, non è soltanto una persona per la sua vita, ma è una persona
come dono di Dio. E padre Kolbe ha capito che per essere come Gesù dovevamo rinascere
in lei. E allora intuisce che Maria è veramente una via, un dono, una speranza, è
una certezza, perché quello che è avvenuto in lei era possibile nell’uomo. E allora
ha fatto di questa spiritualità mariana un modo di essere nella storia. E allora lui
si è preoccupato di generare come Maria nel mondo il volto del Cristo. Ha voluto rivivere
come Maria questa tenerezza verso l’uomo che è lontano da Dio e si è messo a disposizione
di Maria, dicendo: 'Fai di me quello che vuoi'. E si è consacrato a lei, si è consacrato
a quel desiderio di Dio di raggiungere ogni uomo attraverso questa Madre”.
Il
28 maggio 2006, visitando il campo di sterminio di Auschwitz, Benedetto XVI ha ricordato
con queste parole San Massimiliano Kolbe e tutti gli “innumerevoli essere umani” morti
insieme a lui: (…) Essi scuotono la nostra memoria,
scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi
quanto sia terribile l'opera dell'odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere
il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene,
della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono
nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all'orrore che la
circonda: "Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare". (musica)