2008-08-11 08:39:13

Portare la speranza nelle carceri, con sentimenti di amore e condivisione: l’esperienza di don Sandro Spriano, responsabile dell’Area Carceri della Caritas di Roma


Accompagnare il detenuto in un percorso di riscoperta della bellezza della vita e della dignità della persona: è l’impegno portato avanti con passione dai volontari della Caritas diocesana di Roma nel carcere di Rebibbia. A guidare questo gruppo, formato da circa cento persone, è don Sandro Spriano, responsabile dell’Area Carceri della Caritas di Roma, che al microfono di Alessandro Gisotti racconta la sua esperienza:RealAudioMP3

(musica)

R. – Il carcere è un luogo dove sicuramente parlare di speranza non può essere un gioco diplomatico, nemmeno un gioco di parole. Noi riteniamo che sia da mettere in atto - e cerchiamo di farlo nel nostro piccolo - un accompagnamento delle persone. Allora, quando ci si accompagna in questa storia di vita dura del carcere, la vita delle due persone - del detenuto e del volontario – si mescola… nel racconto, nella riconoscenza delle esperienze. Questo è uno degli interrogativi che si pone nell’animo di ambedue i soggetti: la voglia di provare a mettere in comune, così che l’esperienza dell’altro possa diventare la mia e io possa capire che forse posso trovare delle modalità diverse di vita. Posso trovare quella felicità che non ho trovato nelle scelte devianti che ho fatto.
 
D. – Cosa invece dà questa esperienza ai ragazzi volontari che lei coordina? Quale insegnamento, quale ricchezza?
 
R. – Io credo che dia moltissimo, perché la risposta di queste persone è davvero sempre meravigliata: scopro che c’è un modo di vivere diverso; scopro che la mia vita ha più senso. Si scopre che la vita è la relazione con l’altro, che per me è la sostanza del Vangelo. Ma anche tra i miei volontari, quelli che non hanno una fede così provata, trovano che la relazione con la persona diventa la sostanza della vita.
 
D. – C’è tra le tante storie di vita di donne e di uomini, che lei ha incontrato e che incontra, una che può rappresentare un po’ al meglio, sintetizzare il significato di questa esperienza?
 
R. – Io per esempio sto ospitando, come faccio ormai da molti anni, in questo momento, un ragazzo giovane di 30 anni, che ha fatto tanti anni di carcere, che sta pagando per un omicidio, e che non aveva mai assaporato, per mille motivi e mille condizioni negative della sua vita, l’esperienza dell’affettività di una famiglia. L’esperienza di qualcuno che si interessasse dei suoi problemi in maniera seria. Vedo che questa è l’unica strada percorribile per poter far sì che lui non scelga più un modo di vivere sbagliato contro l’umanità. Forse dovremmo tutti, soprattutto noi cristiani, immaginare che queste persone in carcere hanno bisogno della nostra compagnia, altrimenti si perdono.







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