Nei momenti difficili, Dio ci porge la mano e chiede a noi di porgerla al prossimo
nel bisogno: sulle parole del Papa all’Angelus, la riflessione del vescovo di San
Marino, Luigi Negri
Anche a noi, come a San Pietro, che sopraffatto dalla paura rischia di annegare, il
Signore ci “porge continuamente la mano”: è uno dei passaggi della meditazione offerta
da Benedetto XVI ai fedeli, ieri all’Angelus a Bressanone. Il Papa ha sottolineato
che anche noi siamo chiamati a porgere “la nostra mano agli altri, a coloro che ne
hanno bisogno”. Per una riflessione sulle parole del Papa, Alessandro Gisotti
ha intervistato il vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri: R.
– Certo, il mondo è forte, le sfide sono forti. Possono sembrare talvolta, al singolo
cristiano come alla comunità, insostenibili. Ma la radice della loro forza è in realtà
la nostra debolezza di fede. Pietro affonda perché si stacca dalla mano di Cristo,
perché non crede. Non tanto e soltanto perché i flutti sono forti! Io credo che questa
sia una lezione formidabile per la Chiesa di questo tempo. La Chiesa è certamente
assalita da pericoli antichi e nuovi e forse non ce li aspettavamo così forti all’inizio
del terzo millennio, quando forse speravamo - al cadere delle grandi ideologie – in
un momento di pace. E’ venuta, invece, una tempesta più grave – secondo me – di quella
delle grandi ideologie, perché c’è un anticristianesimo diffuso e pervasivo. Insomma
le sfide sono per approfondire la fede: se noi le viviamo dentro la certezza della
fede, allora anche i marosi si calmano!
D. – Questa
difficoltà è molto presente nel pensiero del Papa, che ieri per esempio ha detto,
con un’immagine molto forte: “La Chiesa del nostro tempo in molte parti della terra
si trova a penare per avanzare, nonostante il vento contrario e sembra che il Signore
sia molto lontano”….
R. – In queste parole del Papa
c’è una consapevolezza profonda e - vorrei direi – quasi una tenerezza. Una tenerezza
che fa bene alle Chiese, alle Chiese martoriate in certi Paesi del mondo, nel sud-est
asiatico, in Terra Santa, nei Balcani e adesso anche la Georgia, dove ci sono cristiani
che si stanno combattendo, che si stanno massacrando. Io credo che in questi momenti
sia più che mai chiaro alla Chiesa che il Papa rende presente Cristo. C’è anche una
consapevolezza critica. Noi stiamo soffrendo ed è inutile nasconderselo, ma d’altra
parte questa sofferenza diventa un fattore di crescita e di maturazione se noi ci
riaffidiamo tutti i giorni alla mano forte di Cristo, che non ci lascia, che ci guida
nelle fatiche e nelle prove verso una maturazione della nostra fede e, quindi, paradossalmente
– e il Papa lo ha ricordato – verso una maturazione della nostra capacità missionaria.
D. – Il Papa ci mostra che la forza non deriva da
noi stessi, ma proprio da questo tener stretta la mano di Gesù…
R.
– Certo ed è questo - direi - l’aspetto integrale della fede. Credo che la testimonianza
e l’insegnamento di Benedetto XVI ci abbiano insegnato nel vivo che la fede è un atto
integrale della fede, è un atto dell’intelligenza e del cuore. Credo che questa rieducazione
continua che il Papa fa a riscoprire la propria fede come il fattore fondamentale
sia determinante. Non toglie i problemi, ma cambia la nostra umanità.
D.
– Peraltro, già nell’incontro con i sacerdoti a Bressanone il Papa aveva risposto
ad una domanda di un seminarista, sottolineando che proprio nella fede noi diventiamo
più umani…
R. – Si deve permanere – ha detto il Papa
– nell’orizzonte dello Spirito. E’ lo Spirito che rende poi quotidiana la grandezza
sperimentata a Sydney, ha aggiunto. Lo Spirito si manifesta in noi, cambiandoci, rendendo
cioè più vera la nostra umanità. I doni dello Spirito che egli ha evocato sono i doni
dell’umanità nuova. Quanto più apparteniamo a Cristo, tanto più diventiamo umani.