Mosca avanza in territorio georgiano. Tiblisi riprende i bombardamenti nell'Ossezia
del sud
In evidenza, la situazione nel Caucaso che continua ad essere critica. Le forze georgiane,
contrariamente all’intenzione espressa ieri di una tregua, hanno ripreso i bombardamenti
nell'Ossezia del sud, per ripiegarsi poi su Tiblisi per difendere la capitale dall’avvicinarsi
delle truppe di Mosca. La Russia infatti, scartata per ora la proposta dell’UE per
un cessate il fuoco, avanza in territorio georgiano e si appella alla Nato che domani
a Bruxelles riunisce il consiglio straordinario. A lavoro anche l’UE. Intanto è sempre
più grave la situazione umanitaria: circa 30.000 i profughi in fuga nell'Ossezia del
Nord e 6.000 i rifugiati a Tbilisi.Stasera per loro primo ponte aereo da Dubai. Il
servizio è di Giuseppe D’Amato 00:01:11:59
Sono giunti a Roma i
centodieci italiani, tra i quali 15 bambini, che ieri hanno lasciato la Georgia proprio
a causa del precipitare della situazione. Due C-130 dell'Aeronautica Militare italiana,
atterrati stamani a Roma-Ciampino, hanno ricondotto in patria il gruppo in fuga dai
combattimenti, ai quali si sono aggregati altri 20 cittadini dell’Unione Europea.
Per noi a Ciampino c’era Massimiliano Menichetti:
Villaggi distrutti,
morti e feriti: è questo lo scenario 'disegnato' dal gruppo rientrato con due C-130
dell’Aeronautica militare oggi a Ciampino. Sono fuggiti da Tblisi, passando per l’Armenia
in pullman, poi l’imbarco verso l’Italia. Oltre ai 110 cittadini italiani, anche altri
venti cittadini dell’Unione Europea che sono stati aiutati dall’ambasciata italiana
a lasciare il Paese, ad attendere tutti i familiari, insieme con una fitta schiera
di giornalisti. Tra chi è tornato, anche i georgiani con la cittadinanza italiana;
qui si sono divisi gli stati d’animo tra chi vive lo strappo di aver lasciato i propri
cari in una situazione drammatica e chi è scappato dalla guerra tornando a casa. La
testimonianza di una donna georgiana:
“C’è la guerra, muoiono i bambini, sono
migliaia i feriti. La città di Gori non esiste più, Tskhinvali non esiste più. Le
periferie di Tblisi dove c’erano le basi militari non esistono più, le hanno bombardate”.
‘Ci sentivamo in trappola, le notizie si accavallavano’. I più preoccupati
erano gli stranieri, mentre la gente del posto tendeva a rassicurarci. E’ il racconto
di Franco De Marco, giornalista del messaggero di Ascoli approdato anche lui a Ciampino
dopo essersi recato a Tblisi dove si trovava in vacanza con la moglie e alcuni amici.
Altri hanno raccontato di una città silenziosa, irreale:
“Eravamo in vacanza:
nella capitale non c’era questo clima di grande tensione. Tuttavia abbiamo visto contigenti
militari, ragazzi di 18 anni, persone fino ai 45 anni che venivano continuamente portate
via con autobus di linea. La città che solitamente è sempre piena di persone, i ristoranti
erano vuoti. La sensazione che si avvertiva era un po’ di tensione”.
Confermati
i bombardamenti sulla periferia della capitale georgiana, le difficoltà di collegamento
con le altre località, la paura. Ovviamente, tutti sperano che le violenze cessino
presto. Drammatica la testimonianza di una ragazza, sposata con un italiano, fuggita
dal proprio Paese poche ore dopo il suo matrimonio:
“Dovevamo sposarci e battezzare
la bambina. Però noi siamo nell’ovest della Georgia e non ce l’abbiamo fatta ad andare
lì. Così non ho visto i miei genitori e nessuno. Ci siamo sposati in chiesa in fretta
e furia la mattina a mezzogiorno. Alle cinque siamo partiti per l’Italia, ma volevamo
battezzare la bambina in chiesa...”.
Nel Caucaso è drammatica la situazione
dei profughi: secondo la Croce Rossa Internazionale, gli sfollati sono almeno 40 mila.
Sulla situazione dei profughi in Georgia ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco,
Giulia Laganà, dell’Ufficio Stampa dell’ACNUR, l'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati:
R. - La
situazione, al momento, è abbastanza confusa e le informazioni in nostro possesso
non sono molto precise per quanto riguarda il numero di persone costrette a fuggire
dalle proprie case, sia verso l’Ossezia del Nord sia dall’Ossezia del Sud, dove si
svolgono i combattimenti. Altri poi fuggono dall’Ossezia del Sud verso le altre località
della Georgia. Quello che sappiamo, da quello che riferiscono le autorità è che si
tratta di parecchie migliaia di persone sia verso nord che verso sud. Le nostre attività,
per il momento, si sono limitate ad offrire ai governi della Federazione Russa e della
Georgia la nostra disponibilità ad entrare in azione e ad offrire assistenza umanitaria.
Finora, i governi non ci hanno chiesto aiuto e noi comunque siamo pronti con una serie
di kit di emergenza, soprattutto per quanto riguarda gli alloggi e i ripari di emergenza;
si tratta di beni non alimentari che vengono invece forniti dal PAM, il Programma
Alimentare Mondiale.
D. - Per aiutare le persone in fuga dagli scontri l’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha chiesto la creazione di un corridoio
e un accesso umanitario in Ossezia del Sud...
R. - Ieri l’Alto commissario
Antonio Guterres ha chiesto ai governi sia della Federazione Russa che della Georgia
di aprire due corridoi umanitari: uno verso nord, in Ossezia del nord, e uno verso
sud, in Georgia. In tarda serata i governi hanno risposto positivamente. Sono stati
aperti questi corridoi umanitari che permetteranno sia alla popolazione civile di
fuggire verso luoghi più sicuri, sia agli operatori umanitari di avere accesso a queste
persone in condizioni di incolumità, garantendo anche che non vengano feriti o uccisi
operatori umanitari e anche giornalisti.
D. - Per rendere virtuosi questi corridoi
è essenziale che le parti rispettino i principi umanitari e garantiscano la sicurezza
della popolazione. In questo senso avete delle rassicurazioni?
R. - I governi
hanno offerto rassicurazioni. Resta da vedere se le parti in causa rispetteranno questi
principi; noi ovviamente ce lo auguriamo. La situazione, certo, è molto difficile,
anche perchè le parti in causa sono più d’una, vi sono anche ribelli separatisti in
gioco, quindi ci auguriamo che tutti rispettino questi principi e questa promessa
di garantire l’incolumità dei civili e degli operatori umanitari. Noi, come ACNUR,
abbiamo sei uffici in Georgia e siamo responsabili per una popolazione che già prima
della guerra oscillava sulle 275 mila persone tra sfollati interni e rifugiati. E’
una situazione pregressa, molto complessa nella zona del Caucaso.
D. - Cosa
può determinare l’eventuale ingresso nel conflitto anche dell’Abkhazia?
R.
- Questo procurerebbe un ulteriore numero di rifugiati e di sfollati verso la Georgia
e verso altre regioni della Federazione Russa. Noi ci auguriamo che il conflitto non
si estenda e non si acuisca, soprattutto per quanto riguarda questi civili già duramente
provati da decenni di conflitti e di situazioni di sradicamento. In tutte queste repubbliche
autonomiste o regioni della Georgia, dei Paesi confinati della Federazione Russa,
ci sono consistenti popolazioni che sono rifugiate ormai da 15 anni o anche di più.
Un ulteriore sfollamento sarebbe per loro un trauma e un’ulteriore difficoltà in una
situazione già molto difficile.