La Georgia attacca la regione filorussa dell’Ossezia del Sud. L'intervento di Mosca
È scontro aperto nella provincia georgiana filorussa dell’Ossezia del sud, dove nella
notte e per tutta la mattina è andato avanti il bombardamento dell’esercito di Tblisi
sulle postazioni dei separatisti e delle forze di interposizione di Mosca. In queste
ore convulse, in cui la situazione sembra precipitare, si registrano un momentaneo
cessate il fuoco delle truppe georgiane, lo sconfinamento dei carri armati russi
nella turbolenta regione caucasica e gli appelli ad una tregua di tutta la comunità
internazionale. Il servizio di Giuseppe D’Amato: I militari georgiani
delle truppe di interposizione di pace hanno sparato contro i loro compagni russi
che lavorano secondo gli accordi internazionali. “I colpevoli verranno puniti”: così,
in un messaggio alla televisione, il presidente Medvedev. La Russia – ha proseguito
il capo del Cremlino – è garante della sicurezza dei popoli meno numerosi del Caucaso.
Dopo pochi secondi la televisione di Stato ha mostrato unità corazzate russe, che
superavano il confine georgiano entrando in Ossezia del Sud. Mosca ha così deciso
l’intervento armato diretto, dopo una nottata ed una mattinata di assalti georgiani
alla piccola Repubblica separatista. Metà dell’Ossezia è estesa pressappoco quanto
il Molise ed è stata occupata dalle truppe di Tbilisi che poi si sono velocemente
ritirate davanti all’avanzata dei Tank del Cremlino. Il capoluogo Tskhinvali ha subito
danni gravissimi: tanti i palazzi incendiati e distrutti dall’artiglieria e dall’aviazione
georgiana, fra questi l’ospedale e l’università. In città restano 30 mila civili e
non si sa ancora quante siano state le perdite umane, ma si parla di un centinaio
di morti. Dalla parte russa del confine ci si appresta ad accogliere i feriti e i
profughi. Ambulanze e autobus sono pronti e lo stesso avviene dalla parte georgiana.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti chiedono di fermare lo spargimento di sangue. Una
riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non ha dato risultati.
Ma
tra Mosca e Tbilisi c’è davvero il rischio di una guerra aperta? Risponde Luigi
Geninazzi, inviato del quotidiano Avvenire e grande conoscitore dell’area ex sovietica,
intervistato da Giada Aquilino:
R. – Bisogna
ricordare che questa situazione rappresenta una ferita aperta già dal 1991, cioè un’eredità
avvelenata della fine dell’Unione Sovietica. Sul piano della giurisdizione internazionale
si può dire che la Georgia, con tutte le vicissitudini che ha passato, ha ragione
nel sostenere che queste repubbliche secessioniste dovrebbero arrivare ad un accordo
con il governo centrale, ma questo non è mai avvenuto. Sul piano dei fatti poi c’è
ovviamente dietro l’Ossezia del Sud la grande madre russa che manda non solo dei volontari,
ma anche delle forze, dei servizi segreti e qualche volta delle forze armate. Sul
terreno di gioco ognuno si nutre di grandi dichiarazioni e di colpi di mano. La situazione
è sempre confusa. In genere, finora, ci si fermava un po’ sul ciglio dell’abisso.
Bisognerà vedere come va avanti la situazione. D. – Che interessi
muovono di fatto queste continue tensioni tra Mosca e Tblisi?
R. – La
Georgia è vista dalla Russia un po’ come il proprio cortile di casa, soprattutto con
l’ultimo presidente filoamericano Saakashvili che ha invitato Bush e vuole entrare
nella NATO. Tutto questo non può andare bene al Cremlino. C’è in più il fatto che
ci sono delle minoranze russe molto forti. La soluzione ideale sarebbe di trovare
un accordo, ma questo non è stato possibile. Inoltre, ultimo elemento è il fattore
Kosovo. La Dichiarazione di indipendenza proclamata da Pristina è diventata una buona
occasione, come ha minacciato molte volte Putin, di far proclamare l’indipendenza
anche delle repubbliche secessioniste della Georgia. Come dicevo, ci si nutre di colpi
di mano.