Paolo VI: le riflessioni del cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi,
e del direttore de L’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian
Sono tante le iniziative che in questi giorni ricordano la figura di Papa Montini
e che sottolineano la fecondità del suo magistero. Particolarmente coinvolta nelle
celebrazioni è l’arcidiocesi di Milano, di cui Giovanni Battista Montini fu arcivescovo
dal 1954 al 1963. Alessandro Gisotti ha raccolto una riflessione su Paolo VI
del cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi:
R. – Penso
che la sua eredità più preziosa sia personale, e cioè il suo amore appassionato per
Gesù Cristo. Il titolo della sua prima Lettera pastorale a Milano è un titolo ambrosiano,
preso da Sant’Ambrogio, che suona: “Cristo è tutto per noi”. Davvero la sua vita spirituale
e la sua attività pastorale, prima come arcivescovo e poi come Sommo Pontefice, penso
sia una manifestazione quotidiana di questo segreto che gli palpitava nel cuore: il
suo amore appassionato al Signore Gesù, che inevitabilmente, poi, diventava un amore
per la Chiesa, da lui considerata come la Sposa fedele di Cristo. L’amore per Cristo
e per la Chiesa erano le sorgenti vivissime di un amore che poi si allargava all’umanità
intera. A me piace considerare il grande evento del Concilio Vaticano II come il compendio
più vivo e più concreto di questo triplice amore che ha ispirato Paolo VI: l’amore
a Cristo, alla Chiesa, all’Uomo.
D. – Coraggioso
testimone della verità, Paolo VI ha saputo dialogare anche con la cultura, con mondi
lontani ed in tempi difficili. Come valorizzare oggi il suo esempio?
R.
– Lui ha dialogato con la cultura in modo semplice ma anche coraggioso, perché con
estrema chiarezza ha sempre parlato della fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, non come
un ostacolo, come un freno ma al contrario come una condizione imprescindibile per
valorizzare tutte le diverse forme dell’“humanum”: quindi la forma dell’arte, la forma
della ragione ... Tutto lo sforzo di Montini, che penso debba essere ripreso e continuato
oggi con chiarezza, con precisione, con forza ma anche con straordinaria fiducia e
speranza, sta precisamente nel vedere non una contrapposizione, una distanza ma al
contrario, una armonia, un’armonia intima tra Cristo e l’Uomo, tra l’Uomo e Cristo.
D.
– Cosa Paolo VI ha lasciato a Milano, la diocesi di cui fu arcivescovo e che portò
sempre nel cuore, anche quando fu chiamato dalla Cattedra di Sant’Ambrogio a quella
di Pietro?
R. – Ha lasciato tantissimo. Personalmente
vorrei accennare al suo amore per i sacerdoti. Di lui qui si ricorda la sua disponibilità
ad incontrare personalmente i sacerdoti e comunque a raggiungerli in modo abituale
e continuo attraverso lo scritto. E insieme ai preti vorrei ricordare i lontani: l’ansia
apostolica per la pecora perduta. Penso anche questa sia un’eredità che connota ancora
oggi, grazie al suo impulso, la missionarietà propria della Chiesa ambrosiana.
D.
– Lei fu ordinato sacerdote dall’allora cardinale arcivescovo Montini: che ricordo
ha dell’uomo, del pastore?
R. – Ne ho tantissimi,
di ricordi. In particolare mi porto nel cuore il discorso dell’ordinazione presbiterale
e mi risuonano in particolare queste tre parole, dette con la forza tipica di Montini:
“Siate testimoni, apostoli, missionari”. Penso che qui ci sia un programma di vita
non soltanto per i sacerdoti del ’57, ma per tutti i sacerdoti e – perché no? – per
tutti i membri della Chiesa.
“Testimone di Cristo nell’amore
al nostro tempo”: si intitola, così, l’editoriale del direttore dell’Osservatore
Romano, Giovanni Maria Vian,dedicato alla figura di Paolo VI, nel
30.mo anniversario della morte. Vian, storico del Cristianesimo, definisce quello
di Montini “un Pontificato difficile ma decisivo”. Alessandro Gisotti ha chiesto
al direttore dell’Osservatore Romano, di indicare una chiave di lettura per
interpretare il magistero di Paolo VI:
R. – La capacità
di essere testimone di Cristo nell’amore al nostro tempo. Del resto, era una coscienza
che Papa Montini aveva molto chiara. In un appunto del 1964, lui scrive interrogandosi
sul confronto e la contrapposizione che già veniva fatta tra lui e il suo predecessore,
Giovanni XXIII. Paolo VI si chiede quale sia la caratteristica della sua vita, e scrive
proprio questo: “Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la definizione
dell’amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare
e avvicineremo, ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero”.
D.
– Dunque c’è questo binomio – testimone della verità – umile e coraggioso ma anche
straordinariamente capace di dialogare con il mondo e con le diverse culture: sappiamo
quanto appunto ci fosse una straordinaria propensione per il mondo, anche con l’invenzione
moderna, se vogliamo, dei viaggi apostolici internazionali ...
R.
– Sì. Nonostante ci si sia poi abituati a vedere, con lo straordinario Pontificato
di Giovanni Paolo II, a vedere il Papa, il Vescovo di Roma in tutto il mondo, non
bisogna dimenticare che fu proprio Paolo VI il primo Romano Pontefice a visitare,
a toccare – sia pure in modo simbolico – tutti i continenti in soli nove viaggi internazionali:
viaggi che furono iniziati da quell’itinerario straordinario, preparato con grandissima
discrezione e a sorpresa, in Terra Santa, e che si conclusero proprio ai confini del
mondo quando il Papa arrivò nell’Estremo Oriente, in Oceania, in Australia e nelle
estreme isole del Pacifico.
D. – C’è una profonda
continuità, a 30 anni di distanza, evidentemente non solo nel magistero. Anche se
può sembrare una curiosità, i tre successori di Paolo VI – Papa Giovanni Paolo I,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – sono stati tutti e tre creati cardinali da Paolo
VI…
R. – Sì: non è tanto una curiosità; è un fatto
molto interessante e piuttosto straordinario, perché non è comune nella storia delle
successioni sulla Sede di Roma, che tre Papi siano stati “creature” – come si dice
proprio con un termine tecnico, cioè cardinali creati da un loro stesso predecessore.
D.
– Il compimento del Concilio, i viaggi apostolici – l’abbiamo ricordato – l’istituzione
della Giornata mondiale della pace, poi tanti documenti straordinari, alcune Encicliche
che oggi vengono anche rivalutate e all’epoca furono molto contestate – abbiamo da
poco, in fondo, celebrato il 40.mo della Humanae Vitae ... Ecco: qual è l’eredità
più fruttuosa lasciata da Paolo VI alla Chiesa e non solo?
R.
– Io credo proprio questa predicazione instancabile di Cristo, questa testimonianza
a Cristo che è davvero il tratto distintivo della vita di Montini. Nella fedeltà ai
predecessori, nella continuità con i predecessori e nella fedeltà al Concilio Vaticano
II. Un Concilio – anche questo è bene non dimenticarlo – che alla morte di Giovanni
XXIII era appena agli inizi e che – lo ha detto Benedetto XVI – rischiava quasi di
svanire. Paolo VI lo riconvoca subito e soprattutto lo guida con grande rispetto della
libertà nel dibattito, ma nello stesso tempo con grande fermezza, e lo conclude. E
poi governa non senza difficoltà – difficoltà anche dure – il periodo successivo.
Praticamente tutto il Pontificato è un’applicazione del Vaticano II. Con Paolo VI,
la Chiesa di Roma cambia davvero volto, per molti aspetti. Dalla configurazione del
governo centrale, la Curia: alla vigilia viene riformato il Sant’Uffizio, ma poi tante
altre cose ... Il progressivo allargamento del Collegio cardinalizio, la riforma della
Curia, il nuovo apprezzamento per le altre confessioni cristiane e per le altre religioni,
con gesti simbolici che sono nella memoria.
D. –
Direttore, lei e la sua famiglia siete stati legati – siete legati – anche da un’amicizia
all’uomo Montini. Qual è il tratto umano di Paolo VI che più le piace ricordare?
R.
– Ricordo un tratto umano – ma questo lo ricordano tutti quelli che sono stati amici
di Montini – l’enorme attenzione che quest’uomo aveva per ogni persona che incontrava.