La questione dei farmaci e l’allarme per le donne al centro della Conferenza Mondiale
sull’AIDS, in corso a Città del Messico
E’ entrata nel vivo la Conferenza mondiale sull’AIDS a Città del Messico. Il direttore
generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Margaret Chan, intervenendo ai
lavori ha detto che nella lotta al virus HIV ora occorre “un’azione globale per rendere
disponibili farmaci e risorse”. L’organizzazione "Medici Senza frontiere", invece,
ha lanciato l’allarme per la mancanza di operatori sanitari nell’Africa sub-sahariana.
Tanti gli interventi ai dibattiti, tra cui anche quello dell’ex inquilino della Casa
Bianca, Bill Clinton. Il servizio di Maurizio Salvi.
Esperti,
ricercatori, politici e attivisti continuano a sfilare sul palco del Centro Banamex
di Città del Messico, offrendo le cifre di un dramma che la comunità internazionale
vorrebbe soggiogare ma che per il momento rappresenta la più grave sfida mai affrontata
dalla scienza medica. Intervenendo ai lavori, l’ex presidente statunitense Bill Clinton
ha paragonato il virus dell’immunodeficienza umana ad un enorme drago che dev’essere
combattuto il più presto possibile da milioni di persone. In questo senso, l’ex presidente
USA ha sollecitato un’attività congiunta tra gli organismi internazionali ed i sistemi
sanitari nazionali e proposto che all’interno del programma dell’ONU sull’AIDS sia
creato un nuovo organismo che si occupi delle donne vittime della violenza in tutto
il mondo, ma soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Da parte loro, gli esperti
della Fondazione "Bill e Melinda Gates" hanno ricordato che, nonostante le risorse
utilizzate e gli sforzi fatti, ogni anno due milioni e 700 mila persone entrano nell’"esercito
dei contagiati" dal virus, mentre in un dibattito un esperto ha rivelato che dall’inizio
della pandemia, quasi tre decenni fa, i morti sono stati 25 milioni ed oggi i sieropositivi
raggiungono i 33 milioni. Allo stato attuale delle conoscenze, sappiamo peraltro che
ogni cinque persone colpite dalla sindrome da immunodeficienza acquisita, tre moriranno
se non ci saranno nuovi sostanziali progressi. Il virus è ancora in crescita – è
stato infine sostenuto – anche se con un ritmo meno accelerato che in passato; ma
per debellarlo è necessario che la comunità internazionale tutta agisca con un impegno
umano e finanziario senza precedenti.
Quali sono, dunque,
le priorità per affrontare la tragedia dell’AIDS a livello mondiale? Fausta Speranza
lo ha chiesto a Paola Germano, impegnata nel programma DREAM della Comunità
di Sant’Egidio.
R. – La Conferenza
di Città del Messico, a me sembra che rilanci le priorità e prima fra tutte quella
del costo dei farmaci, che nel corso degli anni si è molto ridotto: l’utilizzo di
generici, di farmaci prodotti in India e in Brasile hanno permesso di espandere la
terapia a tante persone. E’ chiaro che questo, però, non è ancora sufficiente. Quello
che io trovo giusto sottolineare, rispetto all’aggiornamento che si fa oggi alla Conferenza
di Città del Messico, è di cercare di focalizzare l’attenzione non solo su una mera
distribuzione ed espansione dei farmaci, ma anche sul discorso della coscientizzazione
dei pazienti. I problemi relativi all’ADIS non possono essere soltanto relativi alla
distribuzione dei farmaci, ma si deve arrivare a proporre un modello per riformare
i sistemi sanitari dei Paesi più colpiti. Tanto più che l’ADIS, come tutti sappiamo,
non è soltanto un problema sanitario: è anche un problema sociale, economico, demografico
che ha un peso piuttosto grande sui Paesi. Bisogna fare un lavoro di educazione sanitaria
di base e ciò soprattutto nei Paesi più poveri, dove questo è fortemente necessario.
Va poi fatto un discorso di appoggio nutrizionale alla terapia, perché non si può
dare terapia senza dare da mangiare alle persone; ma al tempo stesso è necessaria
una coscientizzazione soprattutto delle donne. Le donne sono molto importanti per
l’Africa - ma credo poi che questo discorso riguardi anche altri continenti – rappresentano
il fulcro della famiglia ed attraverso di loro passano tanti messaggi, che possono
essere anche l’occasione per cambiare delle abitudini ed anche per renderli più coscienti
di quanto la loro vita possa essere diversa.
D. –
In questo mondo globalizzato del 2008, tutte queste priorità poi si scontrano con
problemi, con ostacoli. Quali sono i maggiori ostacoli a livello internazionale?
R.
– A livello internazionale quello che noi abbiamo notato nell’esperienza di questi
sette anni del nostro programma "DREAM" in Africa è che c’è un errore di pianificazione
di quello che è il mercato di farmaci e degli annessi – parlo per esempio dei reagenti
di laboratorio, di apparecchiature – da parte delle grandi industrie che producono
questo tipo di cose si sono trovate un po’ improvvisamente senza la possibilità di
rispondere alla domanda del mercato. Probabilmente l’espansione del trattamento non
era prevista in modo così diffuso e così veloce. Deve essere continuativa, non si
può sospendere, non si può andare incontro a rotture di stock: questo vuol dire programmi
per chiunque lavori con l’AIDS in questi Paesi, ma vuol dire anche programmi meno
efficaci.
D. – Rimanendo proprio in Africa dove è
attivo il vostro programma “DREAM”, lanciato nel 2002 dalla Comunità di Sant’Egidio.
Quali sono in questo momento gli obiettivi?
R. –
Siamo presenti in dieci Paesi africani e sono arruolate nel nostro programma 64 mila
persone. I nostri obiettivi sono anzitutto quelli relativi alla trasmissione verticale:
è quindi necessario lavorare molto sulle donne in gravidanza affinché nascono bambini
sani. Questo è il nostro obiettivo fondamentale, ma non vuol dire che non curiamo
altri malati e quindi il marito o gli altri eventuali figli della stessa donna. Sicuramente,
però, il nostro obiettivo è quello di riuscire a far nascere una generazione sana.
In Africa sarà, infatti, impossibile curare tutti quelli che sono malati di AIDS,
ma riuscire a far nascere una generazione sana vuol dire dare anche un futuro a questi
Paesi. Al tempo stesso però vogliamo riuscire a rendere gli africani protagonisti
di questo tipo di programma che abbiamo così diffuso in Africa e questo – in alcuni
Paesi dove abbiamo cominciato prima come il Mozambico o il Malawi – è già così. Per
noi è molto importante la formazione del personale sanitario e non sanitario, affinché
il programma venga gestito da loro. Molto importante, secondo me, in questa battaglia
contro l’AIDS è sottolineare l’aspetto di prendersi cura di tutta la famiglia: se
in una famiglia c’è anche solo una persona malata di AIDS, questo vuol dire la distruzione
di tutta la famiglia. Per noi è molto importante condividere questo senso forte della
Chiesa, del ministero della Chiesa di aver cura di tutta la famiglia nella sua interezza
e prendersi quindi cura non soltanto di chi deve ricevere le medicine, ma anche di
provvedere al sostentamento nutrizionale di tutta la famiglia, di occuparsi del fatto
che tutti i bambini siano iscritti a scuola. Dare loro un futuro!