La morte di Solgenitsin: rivelò al mondo il dramma dei lager sovietici
È in lutto il mondo della cultura. Si è spento ieri sera a 89 anni nella sua casa
alle porte di Mosca lo scrittore russo, Alexandr Solgenitsin, Nobel per la letteratura
nel 1970, autore di Arcipelago Gulag e grande figura della dissidenza sovietica. Nel
1993 il suo incontro con Giovanni Paolo II e pochi mesi più tardi il rientro in patria
dopo un esilio durato vent’anni. I funerali ortodossi si celebreranno mercoledì a
Mosca, dove lo scrittore verrà sepolto. Il servizio è di Silvia Gusmano.
Un’icona
della dissidenza sovietica e dell’anticomunismo, ma non solo. Con Alexandr Solgenitsin
scompare il più grande scrittore russo contemporaneo, l’uomo che con coraggio e per
amore di verità ha raccontato al mondo la vergogna dei Gulag. Era una realtà che Solgenitsin
conosceva da vicino, per avervi trascorso otto anni, a seguito di una condanna per
alto tradimento della Patria nel 1945. La sua unica colpa aver lasciato trapelare
in una lettera un’allusione contro la politica staliniana. Da quell’esperienza nacquero
le opere che valsero a Solgenitsin il Premio Nobel per la Letteratura nel 1970, tra
cui “Il primo cerchio” e “Una giornata di Ivan Denisovič”. E nacque Arcipelago
Gulag, la trilogia a metà tra autobiografia e ricerca storiografica, tradotta
all’estero nel 1974 e costata allo scrittore un esilio durato vent’anni. Dopo un
periodo in Svizzera, Solgenitsin si trasferì negli Stati Uniti, e continuò a far sentire
la propria voce in difesa della libertà. Commovente nell’ottobre del '93 il suo colloquio
in Vaticano con Giovanni Paolo II, definito l’incontro tra due uomini venuti dall’Est
che sognavano un futuro diverso per il proprio Paese. Pochi mesi più tardi Solgenitsin
rientrò in Russia dove continuò a seguire con attenzione le evoluzioni politiche e
sociali e ad invocare l’instaurazione di una democrazia solida. “Una vita difficile,
ma felice la sua”, ha detto ieri la moglie Natalia, la vita di un uomo che è divenuto
simbolo di coraggio.
Sulla figura di Aleksandr Solgenitsin,
Giada Aquilino ha intervistato padre Sergio Mercanzin, fondatore e direttore
del Centro Russia Ecumenica, che conobbe personalmente lo scrittore russo e la sua
famiglia:
R. – Vorrei
ricordare il figlio che ho avuto la gioia di accompagnare da Giovanni Paolo II, appena
eletto Papa. Giovanni Paolo II gli disse subito: “Quand’è che potrò vedere tuo padre”?
Dopo molti anni, Giovanni Paolo II ha potuto incontrare Solgenitsin: è stata una lunga,
lunghissima udienza e tutti e due erano alla fine estremamente commossi.
D.
– Che ricordo ha di quel colloquio dell’ottobre ’93?
R.
– Erano due grandi figure che hanno avuto la fortuna di conoscersi personalmente:
lo volevano da decenni. Due anime grandi che hanno potuto parlarsi.
D.
– Quell’incontro fu frutto dell’impegno ecumenico?
R.
– C’è stato un impegno ecumenico, ma c’è stato anche - direi - il capirsi tra due
grandi anime slave. Tutti e due avevano coscienza che essere slavi era una grande
opportunità e poi, naturalmente, l’incontro è stato anche un’intesa in una grande
battaglia per la libertà. Si parlò essenzialmente della situazione del mondo, ma in
particolare della situazione della Russia, dell’Est e ovviamente dei rapporti tra
cattolici ed ortodossi. Ricordiamo che Solgenitsin è stato nell’età matura, e poi
per tutto il resto della sua vita, un dichiarato credente ortodosso.
D.
– Cosa ricordiamo di lui come ortodosso?
R. – La
sua grandissima fede, che poi si incarnava in una concezione che dava alla Russia
anche un grande ruolo nel mondo, anche da un punto di vista religioso: quello di far
sentire la voce di Dio nella realtà, nella società, nella politica, nella cultura,
nella letteratura.
D. – Cosa ha rappresentato per
la Chiesa tutta la figura di Solgenitsin?
R. – Ha
rappresentato innanzitutto la figura di un martire: la persecuzione a cui è stato
sottoposto è stata durissima e direi che l’esilio non è stato meno pesante per lui
che era un russo vero, radicato nella sua terra. L’esilio è dunque stato una sofferenza
non meno grande del Gulag.
D. – Ha vissuto tante
fasi dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi. L’esperienza nei Gulag, poi la
sua espulsione e il rientro in patria nel ’94. Quando tornò, il suo viaggio partì
proprio dall’Estremo Oriente russo, dove c’era stato uno dei più atroci lager. Solgenitsin
come ha trasformato la Russia?
R. – Direi che Solgenitsin
è stato veramente un grande trasformatore della Russia: forse - se non avessimo avuto
il suo “Arcipelago Gulag” e le altre sue opere - avremmo un’altra idea, un’altra concezione
di quel che è stato il comunismo in Unione Sovietica. Quindi gli siamo riconoscenti
anche per questo. Ricordo una facile profezia che venne fatta quando lui fu espulso:
qualcuno - vedendo la contrapposizione tra Solgenitsin e il regime sovietico, allora
incarnato in Breznev – disse: “tra qualche decennio nessuno ricorderà più questa crisi,
ma tutti ricorderanno la luminosa figura del perseguitato, Solgenitsin”.