Da 15 anni in Bolivia per recuperare i bambini di strada: la storia di una coppia
italiana della Comunità “Papa Giovanni XXIII”
Strappare i bambini dalla strada in un Paese in cui ignoranza e povertà formano un
circolo vizioso: è questo l’intento di Arturo Mottola, psicologo di 47 anni, da 15
in Bolivia con sua moglie Victoria. Nella città di Yacuiba, a tre chilometri dal confine
argentino, Arturo e Victoria hanno aperto un centro per ragazzi chiamato “Angel de
la Guarda”, “Angelo Custode”. Raggiunto telefonicamente in Bolivia da Alessandro
Gisotti, Arturo Mottola parla della sua vita con i bambini boliviani e
della sua vocazione, nata in seno alla Comunità “Papa Giovanni XXIII”:
R. – La nostra
vocazione è quella di seguire Gesù, povero, servo e sofferente, condividendo direttamente
la vita degli ultimi. Per me e per mia moglie, questo condividere direttamente la
vita con gli ultimi ha significato vivere in missione, lontano dall’Italia e, quindi,
anche con tutti i problemi che possono esserci per l’educazione dei figli. Noi, però,
crediamo fondamentalmente che il Signore ci ha chiamati a vivere questa realtà.
D.
– Da parte vostra c’è un grande impegno, in particolare, con i bambini...
R.
– Sì, una delle grandi sfide che noi abbiamo come Comunità “Papa Giovanni XXIII” è
stata proprio la grande necessità che i bambini hanno in America Latina. Basti pensare
che in Bolivia si parla di 800 mila tra bambini adolescenti oggetto di ogni tipo di
sfruttamento: lavoro minorile, sesso, narcotraffico... Noi abbiamo cercato di far
fronte a questa situazione in diversi settori, quello della riabilitazione dei giovani
con problemi di droga e dei bambini abbandonati e lasciati a se stessi per strada.
Siamo intervenuti con le case famiglie, con un progetto che si rivolge direttamente
a quei bambini che hanno bisogno di un’educazione specifica, perché purtroppo lo Stato
non offre un’educazione appropriata alle loro necessità. C’è poi il progetto di un
centro diurno che abbiamo aperto qui a Yacuiba.
D.
– Qual è stata la risposta dei bambini a questa novità venuta da lontano?
R.
– E’ stata una risposta molto positiva. Abbiamo cominciato con un gruppetto di trenta
bambini e siamo già arrivati a 80 bambini in questi ultimi 6 mesi. Anche le famiglie,
un po’ alla volta, hanno cominciato a capire, a rendersi conto che permettere che
il bambino venga a questo centro diurno, si traduce in un ritorno molto grande anche
per loro. Per noi ha significato anche riuscire ad entrare in queste case, riuscire
a relazionarsi con le famiglie, vivere momenti intensi di fraternità, di amicizia.
Lo Stato, purtroppo, non riesce a soddisfare le necessità base della scuola. La campagna
che lo Stato ha proposto durante la fase elettorale, il programma “Yo si puedo”, “Io
sì posso” - una campagna di alfabetizzazione - in realtà non risponde alle esigenze
reali della popolazione. Noi vogliamo con la nostra presenza essere una testimonianza
anche di qualcosa di scomodo che probabilmente dà fastidio allo stesso Stato.