Caso Eluana. La Procura ricorre contro la Corte d'Appello. La soddisfazione di mons.
Fisichella
La Procura Generale di Milano ha deciso di ricorrere contro il decreto con il quale
la Corte d'Appello Civile aveva concesso al padre di Eluana Englaro, la giovane in
stato vegetativo da 16 anni, di chiedere la sospensione delle cure. Contemporaneamente
sempre la Procura Generale ha chiesto alla Corte d'Appello di sospendere il decreto
emesso che, altrimenti, sarebbe esecutivo in qualsiasi momento. Oggi, intanto, è atteso
il voto del Senato che dovrebbe decidere di seguire la strada della Camera, ovvero
sollevare il conflitto di attribuzione presso la Consulta. La motivazione con cui
la Procura generale milanese ha fatto ricorso è che non è stata accertata con sufficiente
oggettività l’irreversibilità dello stato vegetativo di Eluana Englaro. Gabriella
Ceraso ne ha parlato con Roberto Piperno direttore di Medicina riabilitativa
all'Ospedale Maggiore di Bologna e direttore della Casa dei Risvegli Luca De Nigris:
R. – Ci sono
due zone di ambiguità: quando noi diciamo “stato vegetativo”, stiamo sempre più scoprendo
che ne sappiamo veramente molto poco e stiamo scoprendo sempre più che dietro questa
etichetta – basata sua una diagnosi di assenza, di consapevolezza, di relazioni con
gli altri - ci sono in realtà molte situazioni diverse, alcune delle quali hanno anche
delle attività di tipo cognitivo importanti, come la comprensione del linguaggio o
il riconoscimento di volti. Nel concetto stesso di reversibilità, c’è poi un’altra
zona di ambiguità e questo perchè la grande maggioranza dei casi diagnosticati in
stato vegetativo nel corso degli anni mostrano cambiamenti. Bisogna, quindi, capire
che valore si dà a questi cambiamenti: per alcuni sono importanti e determinanti,
mentre per altri non sono sufficienti. E’ sempre un elemento che lascia incertezza.
Se si intende tornare alla vita normale, esattamente come era prima, credo che si
possa allora parlare di irreversibilità. Ma non credo che sia questo che si intende
quando si parla di irreversibilità. Dovremmo allora parlare anche di cambiamenti possibili
e di cambiamenti possibili ce ne sono sempre. Quando usiamo la parola “irreversibilità”
dovremmo sempre essere estremamente prudenti, perchè è una condanna definitiva e chiude
la porta su qualcosa di cui in realtà abbiamo ancora molte poche conoscenze. D.
– Quali sono gli strumenti che ha la medicina per arrivare ad accertare l’irreversibilità
oggettiva? R. – Io ho il dubbio se ci si arriverà mai a determinare
una irreversibilità oggettiva. In questo momento, le tecnologie scientifiche ci mettono
sempre più in condizione di intuire, e di intravedere delle attività cognitive che
all’osservazione, alla semplice osservazione clinica non si vedono. Il fatto poi di
definire una condizione di irreversibilità, ripeto, il problema sta nel dare un senso
alla parola irreversibile. D. – Ci può essere un conflitto in
questo ambito tra diritto e medicina? R. – Gli elementi di conflitto
nascono quando ci sono delle ambiguità non risolte, anche nell’uso di metafore: quando
si parla di stati vegetativi o di coma, si parla come di un qualcosa da cui ci si
deve risvegliare, ma non è così; quando si parla di queste condizioni come di morte
interrotte, ma non è così, perchè in realtà sono vite che hanno preso una strada diversa.
Ma ci sono delle ambiguità anche nell’uso di parole e delle metafore che usiamo che
creano, poi, veramente un problema a loro volta. D. – La letteratura
medica del passato e la casistica ci possono aiutare nel dirimere la questione? R.
– Sappiamo dalla statistica che la probabilità di evoluzione significativa dopo un
anno di stato vegetativo è molto, molto, molto bassa. Esistono, però, lo stesso dei
casi che si sono evoluti anche dopo questo limite. Questo non ci dà, quindi, delle
certezze, ma ci dice “attenzione” e attenzione perchè ancora non sappiamo tutto. D.
– Questo è anche il suo parere? R. – Certamente è il mio parere,
poi sono delle famiglie che continuano a chiederci di andare avanti in qualche modo
in questa strada, di cercare di capire sempre di più. La vita è
sempre un bene inviolabile: così in sintesi mons. Rino Fisichella, presidente
della Pontificia Accademia per la Vita, a commento della decisione di ricorso della
Procura generale di Milano. Lo ascoltiamo al microfono di Federico Piana:
R. – Fin
dalle mie primissime dichiarazioni avevo sempre sostenuto che la sentenza della Corte
d’Appello faceva acqua da tutte le parti e quindi sarebbe stata giusta una impugnazione
da parte della Procura, cosa che è avvenuta. Siamo dinanzi ancora una volta a dover
toccare con mano un duplice sentimento: il primo, è quello che rimette di nuovo in
primo piano il valore della vita. Eluana è una ragazza che vive, non è attaccata a
nessun apparecchio e non si tratta di staccare nessuna spina. Sarebbe significato
soltanto non darle più da mangiare e da bere e questo sarebbe stato un crimine in
ogni caso, un crimine immenso. Dall’altra parte, tocchiamo con mano che il ricorso
riporta in primo piano anche il dubbio che la scienza non può dirimere, vale a dire
fino a dove può intervenire la scienza, con quali certezze la scienza può dire che
c’è irreversibilità di uno stato come quello che sta vivendo la ragazza, e ci riporta
ancora al grande tema della inviolabilità della vita sempre, dovunque, nonostante
tutto. D. – Molti giuristi avevano paura che questa sentenza
potesse creare dei pericolosi precedenti. Lei è d’accordo su questo? R.
– Questo è vero, perché una sentenza crea una giurisprudenza e quindi questo avrebbe
portato a emettere, con molta probabilità, anche altre sentenze di questo genere.
Questo ci riporta ancora una volta, a mio avviso, ad avere una forte attenzione su
tante persone nel nostro Paese che vivono la stessa situazione. Io credo che noi dobbiamo
fare il grande sforzo di essere vicini a queste persone, molto vicini ai familiari
e chiedere anche con grande forza che nessuno abbia ad abbandonarli in questa condizione. D.
– Perché c’è questo accanimento contro la vita, anche se debole, anche se fragile? R.
– Io credo che ogni singolo caso porti con sé un dramma e quindi credo che nessuno
di noi si possa sostituire né nel giudizio, né nelle scelte, a quella che è la condizione
particolare che i familiari di questi casi vivono. Però, mi sembra che ci sia una
forte pressione ideologica, una pressione che pensa che quando siamo dinanzi ad un
altro concetto di vita, questa vita non meriti più di essere vissuta. C’è una visione
ideologica che vuole porre come primato di tutto la libertà, ma la libertà esiste
nella misura in cui c’è vita e nella misura in cui si valorizza la vita! E in ogni
caso, davanti al richiamo assoluto della libertà, io penso che noi dovremmo aiutare
a riflettere sul rapporto con la verità. Gli antichi dicevano, con una bella espressione:
“Amicus Plato, sed magis amica Veritas” – Platone è amico, ma molto di più amica è
la Verità. Io credo che la verità è condizione necessaria perché ci sia piena libertà
nelle persone.