La fede è un grande sostegno per i migranti, accogliendo lo straniero si accoglie
il Signore. Così, l’arcivescovo Agostino Marchetto, a Washington per il Congresso
nazionale sulle migrazioni
Il Congresso nazionale sulle migrazioni 2008, che si chiude oggi a Washington, ha
analizzato tra i vari aspetti anche la precaria situazione di tanti stranieri in cerca
di migliori condizioni di vita. Durante l’incontro, organizzato dalla Conferenza episcopale
degli Stati Uniti, si è sottolineato che spesso la realtà di chi affronta le insidie
dell’emigrazione è costellata da grandi difficoltà, insidie che talvolta diventano
drammi. Ma la ricchezza della fede può aiutare l’emigrante a superare la miseria,
il disagio di aver abbandonato la propria terra? Risponde l’arcivescovo Agostino
Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i Migranti e gli Itineranti,
raggiunto telefonicamente a Washington da Amedeo Lomonaco
R. – Qualcuno
ha detto che la fede è una marcia in più: io credo che, nelle situazioni particolarmente
difficili, e delicate la fede aiuta molto ad affrontare queste difficoltà; se nei
migranti c’è fede, anche passando attraverso questi tunnel oscuri, il Signore è con
loro. Il Signore si identifica con lo straniero. Dobbiamo accoglierlo come accoglieremmo
il Signore. Sicuramente la fede è una realtà che aiuta i migranti e fa sì che ci sia
la speranza nel futuro, che ci sia un destino di carità, di amore.
D.
– Perché nel messaggio del cardinale Martino che lei ha letto, a Washington, si sottolinea
che il fenomeno delle migrazioni rende ancora più visibile il volto della Chiesa universale?
R.
– Perché quello che era lontano adesso diventa vicino. Dunque, c’è una nuova visibilità
dell’universalità della Chiesa. Ma c’è anche una visibilità della famiglia umana universale.
Oggi, in una città abbiamo rappresentato il mondo intero.
D.
– Secondo lei, è moralmente giustificabile che Paesi sviluppati, tra cui l’Italia
ma anche gli Stati Uniti, adottino misure restrittive per contrastare l’emigrazione,
fermare o rimpatriare chi per disperazione ha dovuto abbandonare la propria terra?
R.
– Io credo che la Chiesa presenti dei principi. Il principio fondamentale è che le
persone non debbano emigrare per sfuggire alla fame e al sottosviluppo. Il secondo
principio è che c’è una libertà di migrare e questa libertà bisogna che sia tenuta
in considerazione. Terzo punto: è vero anche che gli Stati hanno il diritto di regolare
i flussi migratori, tenendo conto del bene comune del Paese in cui questi emigrati
vanno. Però - io aggiungo sempre - questo bene comune di un Paese deve essere inserito
in un contesto del bene comune universale. Oggi si pone una questione molto grave
perché le situazioni in cui ci troviamo attualmente lasciano a desiderare per quanto
riguarda una visione del bene comune universale.
D.
– Anche perché c’è il rischio poi che la necessità di garantire la sicurezza indebolisca
quelle iniziative orientate verso l’accoglienza, come se l’accoglienza fosse secondaria
rispetto alla sicurezza...
R. - Credo che sia il
ministero difficile della Chiesa valutare l’equilibrio tra accoglienza e sicurezza:
se c’è una tendenza esagerata verso la sicurezza, la Chiesa deve ricordare l’importanza
dell’accoglienza. E vice versa, se questa tendenza è esageratamente spostata verso
l’accoglienza, si deve sollecitare una maggiore attenzione alla sicurezza dei cittadini.