Attesa in Turchia per il pronunciamento della Corte costituzionale sul partito AKP.
La riflessione di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia
C’è attesa in Turchia, dove la Corte costituzionale è tornata a riunirsi per il secondo
giorno consecutivo. I magistrati sono chiamati a decidere sulla chiusura dell’AKP,
il partito della Giustizia e dello Sviluppo del premier Erdogan e del presidente Gul.
Un pronunciamento sulla legittimità costituzionale dell’AKP che segue i sanguinosi
attentati di domenica scorsa, costati la vita a 17 persone e non ancora rivendicati.
Le indagini guardano in ogni direzione compresa quella del PKK, il Partito dei Lavoratori
del Kurdistan. Stamani, aerei di Ankara hanno bombardato le postazioni dei ribelli
curdi nel nord dell’Iraq senza provocare vittime. Di quanto sta accadendo in Turchia,
Benedetta Capelli ha parlato con mons. Luigi Padovese, vicario apostolico
dell’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca: R.
- L’impressione che ho, guardando un po’ l’ambiente esterno, è che la gente tutto
sommato sia tranquilla. C’è, ovviamente, grande attenzione per il giudizio della Corte
costituzionale. Il problema che stiamo vivendo è quello di una laicità che, in un
certo senso, sembra opporsi a delle aperture democratiche che, comunque, rimangono
sempre con alcuni punti di domanda.
D. - Mons. Padovese,
gli attentati di domenica hanno comunque colpito l’opinione pubblica...
R.
- Certamente. E' l’attentato più grave di questi ultimi anni. Rimane sempre da capire
quale sia la matrice. La finalità è chiara ed è quella di creare un po’ di tensione
in un Paese che sta vivendo un momento particolarmente delicato. Si tratta di sapere
da dove provengono questi attentati. L’idea della pista del PKK, come ho inteso, non
sembrerebbe quella esclusiva e ci sono ancora dei punti di domanda anche su questo
aspetto.
D. - Lei ha detto: “Alla democrazia non
ci sono alternative”. Intravede il pericolo che ci sia una forza di contrapposizione?
R.
- Il problema della Turchia è salvaguardare una certa idea di laicità rispetto a determinate
aperture che il nuovo governo sta attuando. Io, però, pongo sempre dei punti di domanda
su questo tipo di democrazia. In ogni modo è un’empasse da cui la Turchia deve necessariamente
uscire. Si tratta di fare delle scelte definitive. Non si può tenere in piedi un’idea
di laicità supportata dall’esercito e, al tempo stesso, non si possono fare migliorie
in senso democratico. Credo che la Turchia debba sciogliere questo nodo.
D.
- La visita del Papa, peraltro seguita all’omicidio di don Andrea Santoro, quale segno
ha lasciato nella comunità cristiana turca?
R. -
Ci ha fatto capire che essere cristiani tante volte richiede anche di saper rischiare.
Questa è la realtà nella quale ci muoviamo. Io personalmente non temo, soltanto mi
rendo conto che, in certi ambienti, la presenza cristiana dà ancora fastidio. Non
voglio generalizzare, però sulla base di esperienze personali e che mi vengono riferite
dai miei collaboratori, noto che c’è ancora una certa difficoltà, ma che, ripeto,
è legata soprattutto a particolari ambienti nei quali siamo presenti.