Le vacanze alternative dei giovani in missione nei Paesi poveri
Un’alternativa alle vacanze al mare o in montagna. Anche quest’anno la offrono le
associazioni di solidarietà che aprono i loro progetti alla partecipazione di giovani
che scelgono di mettersi a disposizione di attività missionarie o di sviluppo nei
Paesi poveri. L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha avviato campi estivi
in diverse parti d’Europa denominati “Fuori le Mura”. Francesca Sabatinelli ha
intervistato Marinella Baldassarri, responsabile generale del settore giovani,
curatrice dei campi in Romania, e Cristina Petrella, impegnata nel campo albanese
di Scutari. Quali le opportunità da questi campi estivi? Ascoltiamo la Baldassarri:
R.
– L’opportunità di incontrarsi con i più poveri, con i più piccoli, perché la missione
è annunciare la Buona novella lì dove i più piccoli invece non vengono raggiunti da
questa buona notizia che il Signore è venuto ed è venuto per tutti.
D.
- Le iniziative "Fuori le Mura" nascono nel 2000 con Roma e poi si sono successivamente
ripetute in altri Paesi. Questi campi cosa prevedono nel concreto per i giovani?
R.
- Conoscere la gente del luogo: in particolare in Romania incontreranno i bambini
di un Paese incredibilmente povero, nella zona delle miniere. Una città quasi fantasma
dove ci sono case enormi ma che sono vuote, scadenti. Molti palazzi non hanno più
luce, acqua; per riscaldarsi i bambini vanno a prendere il carbone alle miniere. Per
15 giorni tentiamo di riportare il sorriso a questi bambini, cerchiamo di fargli capire
che non sono maledetti ma che, anzi, sono i prediletti di nostro Signore. Li invitiamo
a una nuova speranza. Si cerca di stare con loro perché la vita "fuori le mura" è
essere con loro ai margini, quindi lontano dai posti di successo, e insieme però riportarli
poi dentro le mura di una società, portarli ad una accettazione più piena.
D.
– Chi sono questi ragazzi che decidono di affrontare nel periodo estivo questa avventura?
R.
– Sono dei giovani che sanno che non possono bastare a se stessi, che sono alla ricerca
della propria identità e la propria identità si incontra soltanto nel momento in cui
davanti a un povero si ha il coraggio di fare la verità con se stessi e col povero.
Nel povero c’è il Signore e lì ci si riscopre amati e nello stesso tempo capaci di
amare.
D. - Cristina Petrella, ti occupi del
campo albanese di Scutari: chi sono qui i dimenticati?
R.
– Nelle nostre zone tendiamo ad andare da quelle famiglie che vengono giù dalle montagne
in città in cerca di fortuna ma che spesso si ritrovano senza un lavoro e in condizioni
veramente pietose, avendo venduto tutto quello che avevano. Noi andiamo a mettere
la nostra vita insieme alla loro, sempre, durante tutto l’arco dell’anno. In estate
diamo la possibilità, anche a giovani che hanno piacere di condividere e di conoscere,
di poter fare animazione, di partecipare a iniziative insieme a loro, ai ragazzini
in particolare, ai bambini.
D. – Un periodo di tempo
così limitato ha lasciato un segno nei ragazzi che sono venuti negli anni precedenti?
R.
– Posso dire proprio di sì. E’ veramente cambiato qualcosa nella vita di tutte le
persone che sono passate da noi. Faccio un esempio. I ragazzi che sono andati via
l’anno scorso sono rimasti molto impressionati: una sera li abbiamo portati a Tirana.
Lì abbiamo una capanna di Betlemme dove alla sera si incontrano dei barboni; li si
fa dormire lì, si mangia con loro... Quando sono tornati a casa, questi ragazzi hanno
allestito nella loro parrocchia un posto per l’accoglienza di queste persone. Sono
cose meravigliose che mi fanno dire: Cristina vai avanti!