La cattura di Karadzic, accusato di genocidio nei Balcani
Soddisfazione della comunità internazionale per l’arresto, ieri vicino Belgrado, di
Radovan Karadzic. Latitante da circa 13 anni, l'ex presidente serbo bosniaco è accusato
di crimini di guerra e contro l'umanita' in relazione ai feroci massacri di croati
e musulmani di Bosnia durante il conflitto del 1992- 1995. Per Il segretario generale
delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, l'arresto di Karadzic rappresenta "un momento storico
per le sue vittime”. La sua cattura è anche giudicata come un passo in avanti nell’avvicinamento
di Belgrado all’Unione europea. Il servizio di Debora Donnini:
Sentiamo Antonio
Cassese, già presidente del Tribunale per la ex Yugoslavia, intervistato da Fabio
Colagrande:
R. – Il
cambiamento di governo in Serbia e il desiderio acuto di diventare parte dell’Unione
Europea, quindi per ragioni puramente politiche. E’ triste pensare che quest’obbligo
internazionale esisteva dal 1995 per tutti gli Stati della regione, e nessuno ha ottemperato
a quest’obbligo. E’ stato necessario, appunto, che subentrasse una motivazione politico
economica, per far fronte a quest’obbligo di arrestare Karadzice consegnarlo
al Tribunale dell’Aja. D. – Come commentare quanto detto dal
presidente della Commissione europea Barroso, cioè che si tratta di un fatto che può
portare ad uno sviluppo positivo e contribuire a riportare la giustizia nei Balcani.
Si può dire questo, professor Cassese? R. – Sì, penso di sì,
perché in realtà Barroso vede - dal punto di vista dell’ingresso graduale della Serbia
nell’Unione Europea - che è un fatto positivo, perché significa che l’Unione Europea
condizionerà il processo democratico della Serbia e cercherà di espungere sempre di
più il nazionalismo serbo. Anche perché, oltretutto, a Belgrado, già da qualche anno,
la giustizia sta marciando molto meglio nel senso che, finalmente, si possono consegnare
alcuni degli arrestati che sono nel carcere dell’Aja, alle autorità di Belgrado perché
è fondato sperare che i processi a cui saranno sottoposti, saranno equi e giusti. Numerosi
i commenti internazionali all’arresto di Karadzic. Soddisfazione è stata espressa
dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, così come da Serge Brammertz, procuratore
capo del Tribunale per i crimini di guerra delle Nazioni Unite, istituito per giudicare
i responsabili delle atrocità commesse durante i conflitti nei Balcani degli anni
’90. Brammertz ha dichiarato, in un comunicato, che l’arresto di Karadzic “rappresenta
una pietra miliare nella cooperazione” con il Tribunale e si è congratulato con le
autorità serbe, mentre la presidenza francese dell’Unione Europea ha definito la cattura
“un passo importante della Serbia” nel processo di avvicinamento all'Unione a 27.
Unica voce fuori dal coro è quella della Russia che ha chiesto la chiusura del Tribunale
penale internazionale per il timore che sia parziale nel giudizio. Ma questo arresto
può cambiare il corso delle cose nei Balcani e quindi anche in Kosovo e in Bosnia
Erzegovina? Luca Collodi lo ha chiesto a don Lush Gjergji, parroco di
Bince, in Kosovo, apprezzato intellettuale cattolico dei Balcani:
R. – Secondo
noi sì, perché penso che il presidente Tadic abbia rafforzato ormai il suo potere.
Lui è un uomo costruttivo e positivo. Quindi, si aspettava un momento giusto e credo
che questo sia il momento giusto per lavorare con la comunità internazionale, per
dare questi segnali positivi e non solo dichiarazioni filo-europee e quindi cercare
una giustizia vera per cancellare così una colpa che pesava moltissimo sul popolo
serbo e anche sul governo serbo. D. – Don Gjergji, il dialogo
religioso in Kosovo, anch’esso sta proseguendo? R. – Molto bene.
Stiamo proseguendo con la comunità islamica, abbiamo ottimi rapporti, anche regolari.
Abbiamo reagito insieme, sia per scritto che verbalmente, per la costituzione del
Kosovo, riguardo alla difesa incondizionata della vita, riguardo al matrimonio, condannando
i matrimoni omosessuali, e riguardo al diritto alla libertà religiosa delle singole
comunità. Abbiamo ancora la difficoltà di comunicare con la Chiesa sorella, la Chiesa
ortodossa serba, ma io sono profondamente convinto che con l’aiuto di Dio e con la
nostra apertura sia verso la comunità islamica, sia verso i fratelli cristiani, che
sono ortodossi, serbi e montenegrini, che la nostra Chiesa con molto coraggio porterà
avanti sia il dialogo interreligioso e interetnico, sia il dialogo ecumenico. Radovan
Karadzic è considerato la mente del massacro di Srebrenica, le cui vittime, nell’estate
1995, furono ufficialmente 7.800, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e
le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 10.000. La strage è stata considerata
un genocidio dalla Corte internazionale di giustizia e una delle peggiori atrocità
dopo quelle della Seconda guerra mondiale. Salvatore Sabatino ha chiesto un
commento sull’arresto di Karadzic a Mubina Calik, una sopravvissuta di Srebrenica.
Ascoltiamo: R. – Sono
felice del fatto che ci sia finalmente giustizia per persone come lui. Aspettavamo
questo momento da tanto tempo: sono passati 13 anni dal massacro di Srebrenica, nel
quale ho perso mio padre e tutti i miei familiari, diventando un’orfana rifugiata
per sempre. D. – Lei che ha vissuto quella tragedia, cosa ricorda
di quei giorni? R. – Nel ’92, quando è iniziata la guerra in
Bosnia, ero una bambina di 10 anni. In quei tre anni di guerra ricordo la gente uccisa,
ferita. Mi sembra come di aver vissuto in un film, che è iniziato la mattina e finito
la sera. Mi sembrava di vivere una giornata molto lunga, troppo lunga; mi sembrava
strano che in una sola giornata potessero succedere tutte quelle cose. Ricordo che
i serbi sono entrati a Srebrenica ed hanno fatto un massacro: ho visto Mladic uccidere,
ho visto altre persone uccidere, ho visto i colleghi serbi di mio padre, che erano
i suoi migliori amici, uccidere; ho visto portare via ragazzi, ho visto portar via
bambini. Credo di non tornare mai più in Bosnia, anche se la nostalgia è grande. D.
– Quanto è importante, a distanza di tanti anni, ricordare quella tragedia per non
ripetere lo stesso errore? R – E’ importante, almeno per noi
che siamo sopravvissuti, ricordare le persone care che sono state uccise. L’11 luglio
scorso sono stati sepolti i miei due cugini ed io sono qui, da sola e non posso fare
niente, non posso fare niente per le persone che arrivano da quella zona. Io non ho
l’aiuto di nessuno, ma per me ricordare è molto importante. Io porto dentro di me
tutto questo: ci sono troppi diari, troppi quaderni che ho scritto con parole e disegni
per ricordare tutto questo.