2008-07-21 15:35:16

Intervento del presidente dell'AMCI di Ferrara sul caso di Eluana Englaro


Ci sono tanti fraintendimenti nella vicenda che vede coinvolta Eluana Englaro, la giovane da 16 anni in stato vegetativo in seguito ad un incidente stradale. Alcuni sono di ordine tecnico-medico, altri di natura squisitamente bioetica. E’ quindi decisivo provare a fare chiarezza per avere elementi oggettivi e razionali sui quali poi provare ad esprimere un giudizio sui fatti, astenendosi dal giudicare le persone. E’ quanto sostiene Chiara Mantovani, presidente dell'Associazione medici cattolici italiani (AMCI) della sezione di Ferrara, commentando la recente decisione della Corte di appello di Milano di autorizzare il padre di Eluana a sospendere il trattamento di alimentazione ed idratazione della figlia. I fatti sono che “si reputa opportuno – spiega Chiara Mantovani – togliere i supporti naturalmente vitali”. “Non è la sua malattia a richiedere idratazione e nutrimento: acqua e cibo – aggiunge - sono elementi indispensabili alla vita di ogni vivente”. È solo la modalità di assunzione che per lei è differente da quella ordinaria: un sondino direttamente nello stomaco – precisa - non può essere considerato un presidio eccezionale, sproporzionato all’effetto desiderato o gestibile solo da competenze specialistiche. “Non è straordinario né per costo, né per impegno strumentale, né per disagio del soggetto cui si somministra”. Eluana – prosegue Chiara Mantovani - è “icona di una sofferenza molto più comune della sua stessa patologia, quella sofferenza che è banco di prova della condizione umana: la dimensione della dipendenza, la frustrazione di dipendere dagli altri”. Se da piccoli questa dipendenza – sottolinea il presidente dell'AMCI di Ferrara le cui parole sono state riprese dall’agenzia Zenit - non è pesante da sopportare, anzi, è la condizione naturale, da adulti, dopo aver faticosamente raggiunto il traguardo della maturità, sembra disumano esservi ancora costretti. Per Eluana e per altri che come lei da soli non ce la fanno – conclude - qualcuno pensa “che la morte sia meglio della vita, ma non è il diritto di scelta sulla vita la misura alta di una civiltà: è, piuttosto, il coraggio di farsi carico di ogni dolore, di assumersi la responsabilità degli altri”. “Se poi la fede cristiana illumina meglio il cammino, non si dica che è ingerenza: si ammetta che è una ragione in più, non una menomazione del giudizio”. (A.L.)







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