2008-07-04 14:58:08

Il rispetto della cultura ROM favorisce integrazione e sicurezza: l’opinione di mons. Agostino Marchetto, segretario del dicastero pontificio dei migranti


Se non c’è rispetto per la cultura delle popolazioni nomadi, può essere difficile giungere a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di sicurezza sociale. L’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale dei migranti, invita tutti i Paesi a muoversi nella direzione del rispetto dei diritti fondamentali della persona, mettendo in risalto l'esperienza maturata dalla Chiesa a contatto con i ROM, ispirata dai valori del Vangelo. L’intevista al presule è di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

R. - Direi che l'impegno principale della Chiesa con gli zingari è certamente l’accoglienza, che si traduce in visite e contatti, anche poi ci sono dei sacerdoti che vivono stabilmente nei campi zingari. Direi però che la grande questione sia quella della scuola: pensiamo che siano più o meno 4 milioni i ragazzi zingari che dovrebbero andare a scuola. Ci sono delle bellissime esperienze a riguardo: io ho visitato delle scuole dirette in particolare a loro, ma c’è poi anche chi si pone la questione su una loro frequenza nelle scuole normali. In ogni caso, è importante una presenza di quelli che loro chiamano i gagi - cioè quelli che non sono zingari - e curiamo certamente l’evangelizzazione, che va profondamente legata con la promozione umana. Naturalmente, noi, tutti i Paesi, abbiamo fatto un grande cammino: ci sono Paesi più avanzati, con degli ottimi risultati. Penso per esempio alla Spagna, che certamente nel secolo scorso ha svolto un grandissimo compito di integrazione. In ogni caso, quello che è importante è che vediamo valutiamo la cosa non solamente da un punto di vista ‘nazionale’, ma che ci inseriamo nei giudizi, nei pensieri, nell’azione di un contesto internazionale. Ricordo che c’è stato un incontro di consacrati zingari, lo scorso anno, ma teniamo anche dei congressi mondiali ogni due anni: quest’anno sarà a Pfeifing, in Germania, all’inizio di settembre, e il tema sarà sui giovani zingari nella Chiesa e nella società. Dunque, una cosa vitale, importante, perché questa etnia ha moltissimi giovani.
 
D. – In molte parti del mondo, eccellenza, l’integrazione dei ROM con la popolazione locale presenta spesso dei problemi. In base alla vostra esperienza, maturata sul campo, che cosa può facilitare e cosa ostacolare questa integrazione a livello sociale?
 
R. - L’azione fondamentale è la questione culturale, perché anche se sono stabilizzati o semi-stabilizzati, i nostri fratelli conservano una cultura del movimento, della itineranza. Ed è questo credo che crea difficoltà, perché è - mi si perdoni l'espressione - come un pugno nello stomaco alla nostra stabilità e direi anche all’ideale che tutto sia sicuro, tutto a posto.
 
D. – Dunque, si può dire che conoscere la cultura ROM è certamente un modo per facilitare l’integrazione e, in definitiva, un modo dal quale può scaturire anche una maggiore sicurezza sociale...
 
R. - Certamente. E’ il solito binomio che continuamente riproponiamo nella ricerca di un equilibrio. Io dico sempre: la Chiesa deve cercare, nel rispetto di tutti, di sottolineare quello che è un po’ mancante in un certo momento della storia di un Paese, di un continente. Quindi, se c’è una tendenza, in un certo momento storico, a dimenticare quello che è il rispetto dell’altro nella linea dei diritti fondamentali, io credo che la Chiesa debba dire - ripeto, con rispetto ma anche con convinzione e con forza - quello che è un suo modo di vedere la situazione.







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