Intervista al cardinale Tarcisio Bertone di ritorno dalla Bielorussia: aperte vie
nuove nel rapporto Stato-Chiesa
“Per essere liberi non basta abbattere i muri. Bisogna diventare liberi dentro e questo
è possibile solo incontrando nella persona di Gesù la verità di Dio”. È questa la
consegna che domenica sera il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone,
ha lasciato alla Chiesa bielorussa a conclusione dei cinque giorni di visita. L'incontro
con la comunità cattolica di Minsk è stato l'ultimo atto del viaggio, iniziato mercoledì
18 giugno. Al microfono di Roberto Piermarini, responsabile dei Servizi Informativi
della nostra emittente e di Carlo Di Cicco, vice-direttore dell’Osservatore
Romano, il cardinale Bertone si è soffermato sui momenti salienti della sua visita
in Bielorussia, spiegando come i cattolici bielorussi stiano contribuendo alla ricostruzione
materiale e morale del Paese uscito dalle ceneri del comunismo:
R. – I cattolici
in Bielorussia sono una minoranza, ma numerosa e attiva; una minoranza che professa
pubblicamente e, direi, entusiasticamente la propria fede. Segnata quindi dalla testimonianza
di una ritrovata fede nel Signore Gesù e da una rinnovata pratica cristiana. Il primo
impegno – tipicamente pastorale – è quello di educare le giovani generazioni alla
fede e di rieducare le vecchie generazioni e le generazioni adulte alla fede, che
è stata un po’ sopita e messa alla prova, anche con persecuzioni e sacrifici immani.
E poi, i cattolici contribuiscono attraverso una testimonianza dei valori che sono
apprezzati anche nella società, dall’autorità pubblica: il valore della vita, della
famiglia, dell’educazione, della cura della salute, con tante iniziative di carattere
solidaristico, e sociale. Pensiamo anche alla cura dei bambini e delle loro famiglie
– si pensi alle conseguenze dell’effetto Chernobyl -. Il viaggio pastorale in Bielorussia
l’ho incominciato con la visita ad un centro Caritas che ospita persone bisognose
di aiuto. Questa profusione di solidarietà, di generosità – dicevo - è molto apprezzata
dalla società civile e dalle stesse autorità.
D.
– Quale specificità ha, in Bielorussia, il dialogo tra fede e ragione?
R.
– Ha la caratteristica tipica di un confronto tra la ragione, le scienze, la cultura
e la tradizione cristiana, la proposta culturale della Chiesa, così come avviene in
ogni parte del mondo. Però, ci sono degli accenti particolari. Intanto, in Bielorussia
c’è molta sete di questo confronto, molta sete di Dio e delle ragioni di Dio rispetto
alle ragioni dell’uomo. Questo confronto tra Dio e l’uomo, soffocato durante la dittatura
comunista, riemerge. Nella Università statale di Minsk c’è una bella Facoltà di Teologia,
frequentata da ortodossi e da cattolici, dove proprio su questo tema specifico, ho
tenuto una conferenza che mi è parsa molto ascoltata ed apprezzata. Il rettore dell’Università
intende farne oggetto di ulteriore riflessione. La Facoltà è frequentata anche da
non credenti che vogliono confrontarsi con le ragioni della fede. Nel teatro del palazzo
del presidente della Repubblica – perché il Teatro di Minsk è in restauro – è stata
rappresentata, non so dopo quante repliche, una bella opera: un balletto sulla Creazione.
La storia di Dio Creatore è la storia dell’uomo amato da Dio e la storia dell’uomo
ribelle, la lotta tra il bene e il male con la vittoria finale del bene. Questa tematica
è stata rappresentata dal Balletto “Bolshoj” di Minsk. Ho chiesto se fa concorrenza
al “Bolshoj” di Mosca. “A volte – mi hanno risposto - fa anche concorrenza”. Sono
andato a vederlo anche per dare una testimonianza; ho salutato il regista che, peraltro,
è una persona molto fine ed è molto sensibile a queste tematiche religiose. Egli mi
ha raccontato che una delle prime rappresentazioni di quest’opera l’ha fatta davanti
al cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, il quale al termine lo ha ringraziato dicendogli:
“Ti ringrazio in nome di Dio”. Questi sono dei tratti molto belli; naturalmente, un’espressione
simile è rimasta nella mente di questo regista, in maniera incancellabile, fino ad
oggi.
D. – A che punto è il dialogo ecumenico in
questa regione, e anche la convivenza tra i vari riti nella stessa Chiesa cattolica?
R.
– Credo che sia in un momento oserei quasi dire idilliaco di concordia, di rispetto
e di promozione reciproca delle iniziative delle diverse Chiese. Ho incontrato il
metropolita ortodosso di Bielorussia, Filarete, che fa capo al Patriarcato di Mosca,
ed i gerarchi ortodossi sono stati presenti ad ogni mia solenne celebrazione. A Grodno
– ad esempio – era presente il vescovo ortodosso di Grodno, a Minsk un rappresentante
della Chiesa ortodossa bielorussa. Il colloquio è stato molto interessante: con il
metropolita abbiamo trattato problemi di comune interesse, anche il problema dei segni
religiosi nella società. C’è anche una sana emulazionee collaborazione
nella costruzione delle chiese, nel piantare i segni religiosi. Lui mi ha fatto vedere
la galleria di tutte le chiese nuove costruite da quando è metropolita, e così apprezza
anche che la Chiesa cattolica costruisca questi segni della presenza di Dio in mezzo
agli uomini e nella vita della comunità credente. Tra i latini ed i greco-cattolici
che sono presenti anche in Bielorussia c’è un rapporto molto fraterno, e il visitatore
– c’è un visitatore greco-cattolico per i greco-cattolici di Bielorussia – è invitato
a partecipare regolarmente alle riunioni della Conferenza episcopale: è venuto anche
alle riunioni da me presiedute con la Conferenza episcopale bielorussa, e poi ha partecipato
a tutte le celebrazioni. Ho visitato il loro Centro a Minsk: ci sono prospettive di
sviluppo. Tra l’altro, poi, è difficile calcolare statisticamente le cifre degli appartenenti
alle diverse confessioni – erano presenti all’ultima celebrazione a Minsk anche il
rappresentante della Chiesa luterana e della Alleanza Biblica Mondiale, c’era un rappresentante
della parte musulmana – perché i cristiani, e penso anche i credenti delle altre religioni,
trovano il coraggio di manifestare la loro presenza nei momenti in cui si inaugura
un luogo di culto, un luogo di riunione. Perché, sappiamo, dopo tanti anni di paura
e di oppressione, l’uscita allo scoperto in pubblico è ancora prudente. Però, è interessante:
c’è un clima non solo di tolleranza, ma di concordia, di vera concordia tra le varie
confessioni e soprattutto tra le confessioni cristiane.
D.
– Oltre a questi incontri ecumenici lei ha avuto anche incontri con le autorità governative
e statali. Ci può dire quali risultati ha conseguito?
R.
– Ho avuto incontri sia con il presidente della Repubblica, Aleksandr Lukašenko,
con il quale sono stato un’ora e mezza, sia con il ministro degli Esteri, Martynov
e con il presidente del Comitato per gli Affari religiosi e le minoranze etniche del
Consiglio dei ministri, Guljako. Ho parlato in incontri ufficiali ma anche così, amichevolmente,
nei trasferimenti o in altre circostanze di manifestazioni pubbliche. Il ministro
degli Esteri ha dato un pranzo in mio onore, invitando alcune autorità. Gli incontri
sono stati molto positivi e abbiamo raggiunto dei risultati concreti: anzitutto, c’è
una prospettiva che sta facendosi strada, di stipulare un accordo vero e proprio con
la Bielorussia, almeno un accordo fondamentale, che le due parti dovranno studiare,
naturalmente. Tra parentesi, ricordo la nomina dell’ambasciatore di Bielorussia presso
la Santa Sede, che ha presentato le Lettere credenziali. C’è un bel discorso del
Papa all’ambasciatore che è una grande personalità. Il Corpo diplomatico accreditato
in Bielorussia – ho incontrato alcuni ambasciatori – lavora bene, c’è un clima di
collaborazione anche a livello diplomatico. Abbiamo ottenuto dei buoni risultati,
ad esempio per quanto riguarda la possibilità di costruire nuove chiese, una nuova
sede per la Nunziatura Apostolica e la sede dell’episcopio di Minsk.Quindi,
credo che in Bielorussia, come peraltro negli altri Paesi soprattutto dell’area dell’Europa
orientale, abbiamo aperto vie nuove che forse erano fino a poco tempo fa impensabili.
Questo dimostra l’opportunità degli incontri personali, degli incontri faccia a faccia
con i responsabili della vita civile o dei governi delle diverse Nazioni.
D.
– Perché tanta passione educativa e tanto insistere sulla speranza nell’incontro con
i giovani?
R. – I giovani sono una porzione eletta
– come diceva Don Bosco – del popolo di Dio, della società e quindi suscitano da parte
mia sempre una reazione di vicinanza e di intensità di sentimenti e di passione. Non
dimentichiamo che una specialissima attenzione verso i giovani c’è stata da parte
dei papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI in particolare. Nel mio viaggio sono andato
ad incontrare un folto gruppo di giovani in un luogo particolare, cioè in una parrocchia
salesiana, e quindi anche come salesiano ho particolarmente goduto di questo incontro
con i giovani che mi sembrano già molto ben formati e protesi verso il futuro, verso
una solida fede cristiana. Prima dei miei interventi hanno realizzato una specie di
‘recital’ molto bello, sulla lotta tra le tenebre e la luce, sul degrado dei giovani
senza fede, senza ideali e quindi sulla necessità, sulla risorsa che la fede è, che
la Chiesa è per i giovani, anche in Bielorussia come – credo – per quelli di ogni
regione, di ogni continente. D’altra parte, i giovani che vedono e studiano la storia
delle loro nazioni, delle loro società hanno bisogno di una iniezione di speranza.
Certo, hanno più bisogno di speranza gli adulti, gli anziani che hanno subìto tante
delusioni. I giovani sono ancora aperti al futuro, alle cose più belle. Bisogna sostenerli
in questa apertura, nell’attesa e nella partecipazione personale alla costruzione
di una società che sia a misura degli ideali umani, del progetto della creazione di
Dio, e anche a misura delle promesse delle nazioni stesse e della comunità internazionale.
I giovani hanno reagito molto positivamente: ho trovato una presenza continua e cospicua
di giovani in tutte le celebrazioni, in tutte le manifestazioni pubbliche.
D.
– Qual è l’immagine più significativa che le rimane di questo viaggio in Bielorussia?
R.
– Vorrei dire un’immagine di un “grande vecchio”, del coraggioso e indomito cardinale
KazimierzŚwiątek. Ci sarebbero tante altre immagini,
naturalmente, anche immagini di belle famiglie, della bella tradizione bielorussa,
di un Paese che accoglie offrendo il pane e il sale. Auguro sempre che non manchi
mai il pane della vita e il sale della sapienza, soprattutto ai giovani, ma anche
alla nazione, a tutti i membri della nazione. Ma al di sopra di tutte rimane l’immagine
di questo “grande vecchio” che ha sofferto tanto nella sua vita e che sta per compiere
94 anni. L’ho incontrato a Pinsk, e continua a lavorare con una forza straordinaria;
a lavorare apostolicamente, con un progetto pastorale, con impegno veramente ammirevole.
Mi ha raccontato tanti tratti della sua vita, tanti episodi della sua esistenza. Ci
eravamo già incontrati parecchie volte, ma vederlo in loco, vederlo nella sua diocesi
di Pinsk, e vedere di quale amore, di quale stima è circondato mi ha fortemente colpito.
I giovani, nel loro ‘recital’, hanno parlato dei martiri, dei testimoni del passato
e dei testimoni viventi, e allora hanno portato un mazzo di fiori, un dono al cardinale
Świątek, come al testimone vivente, incrollabile di una fede che non
vacilla, di una storia di fede che continua.
D. –
Nei suoi discorsi dei viaggi precedenti ma in particolare in questo in Bielorussia,
lei ha molto insistito sul primato della vita spirituale e sulla testimonianza credibile
dei laici e specialmente del clero. E’ stata una scelta occasionale o voluta?
R.
– Una scelta voluta, ovviamente; una scelta pensata, per il clero e per i laici. Sia
perché sappiamo che la sorgente vera di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e anche la
sorgente vera di tutte le attività – anche delle attività caritative e solidaristiche
– è una vita spirituale ardente, fervorosa. Tra l’altro, proprio il sabato 21 giugno
ricorreva la memoria di San Luigi Gonzaga. Ho ricordato ai seminaristi che San Luigi
Gonzaga a 12 anni aveva stabilito nel programma della sua giornata di dedicare cinque
ore alla preghiera. Ho detto ai giovani che nemmeno noi vescovi e cardinali (forse)
dedichiamo cinque ore quotidiane alla preghiera. Però, lì si attinge la forza, nell’amicizia
con Cristo. E ciò vale per il clero, vale per i vescovi prima di tutti, ma vale anche
per i laici: c’è la risorsa della vita spirituale che alimenta tutte le altre manifestazioni
di autentica carità cristiana e tutte le forme di una esperienza cristiana, vissuta
personalmente e comunitariamente. Credo che questo sia stato compreso, anche per non
svuotarci in un attivismo pure meritevole: pensiamo a tutte le iniziative nel sociale,
che sono molto apprezzate, ma che non toccano il cuore se non hanno quella linfa vitale
che è l’ispirazione dell’amicizia con Cristo e l’ispirazione autenticamente evangelica.
D.
– Le tematiche pastorali e religiose sono state prevalenti in questa come in altre
sue precedenti visite compiute a nome del Papa. C’è davvero un nuovo corso nella diplomazia
vaticana?
R. – Sono convinto – l’abbiamo detto in
questi anni – che la diplomazia della Santa Sede cammina per così dire con due ali:
un’ala tipica di impegno pastorale, perché i rappresentanti pontifici nelle diverse
nazioni, per statuto, devono essere di aiuto e di sostegno alle Chiese locali; e poi
la missione di coltivare, migliorare e intensificare i rapporti con le autorità civili
e nazionali. Nei miei viaggi pastorali metto sempre al primo punto la visita alle
Conferenze episcopali e alle diocesi. Sottolineo la visita alle diocesi. Naturalmente,
nei limiti del possibile, perché non posso visitare tutte le diocesi di una nazione.
Per esempio, in Bielorussia ho visitato le diocesi di Minsk, di Pinsk, di Grodno.
Ho tralasciato per ora – chissà, in futuro – la diocesi di Vitebsk. Il Vescovo aveva
tanto desiderio che andassi anche in quella diocesi, in quella regione che ha dei
problemi particolari. La visita alle comunità diocesane è molto attesa e la visita
poi del primo collaboratore del Papa in qualche modo rappresenta la vicinanza del
Papa, le indicazioni, l’indirizzo che il Papa imprime anche all’attività pastorale,
perché naturalmente tutti i miei discorsi hanno come punto di riferimento il magistero
di Papa Benedetto XVI, come anche il magistero dei Papi precedenti, in modo particolare
di Papa Giovanni Paolo II. Perciò, prima di tutto i miei viaggi hanno un accento pastorale:
la visita ai vescovi, alle diocesi, alle comunità locali, ai giovani. Come ho detto,
in Bielorussia ho incominciato con la visita a quel Centro Caritas proprio per dare
un segno di priorità e di preferenza, che sia conforme all’ispirazione evangelica
della nostra vita, anche della vita di un diplomatico, di un rappresentante pontificio.
Poi, c’è l’altro aspetto che naturalmente impegna molto, che caratterizza queste visite
pastorali: il rapporto, gli incontri diretti con le autorità civili.
D.
– Come si collocano i frequenti viaggi del segretario di Stato nel piano di rinnovamento
che Benedetto XVI va proponendo alla Chiesa e alla Curia?
R.
– Anzitutto, i viaggi del segretario di Stato sono pienamente concordati con il Santo
Padre, il quale li condivide, così come condivide le scelte delle nazioni da visitare,
in considerazione delle necessità delle varie nazioni e chiese sparse nel mondo. E’
il Papa che manda, è il Papa che segue lo svolgimento dei viaggi e che riceve sia
dai vescovi, sia dai nunzi apostolici le notizie e le informazioni sui viaggi. Anche
al mio ritorno dalla Bielorussia, nella prima udienza che ho avuto con il Santo Padre,
il giorno successivo, il Papa stesso ha espresso la gioia di avere ascoltato dalla
viva voce dai vescovi i risultati positivi, le nuove strade aperte nei viaggi precedenti.
Questo è bello, perché fa vedere l’opportunità, l’efficacia di questi viaggi nelle
due linee. Non voglio dimenticare che cerco di incontrare i seminaristi. Essi sono
– lo sappiamo – la risorsa della Chiesa del futuro, la vita nuova della Chiesa. In
Bielorussia ci sono due bei seminari maggiori che hanno molte vocazioni, credo in
tutto circa 200 seminaristi maggiori. Possono crescere, anche trasformarsi in Facoltà
di teologia, anche se c’è quella Facoltà di Teologia all’Università statale di Minsk
riconosciuta come facoltà vera e propria. Questo dice anche la finalità: portare la
voce del Papa ai candidati del sacerdozio, ai nuovi sacerdoti, ai professori di teologia,
e questo mi sembra un contributo importante per continuare nella scia del magistero
del Santo Padre, a indirizzarli nel contesto attuale, quindi tra le sfide del mondo
attuale, secondo orientamenti precisi. E’ in questo spirito che è stata ribadita,
confermata la profonda comunione con il Papa e con la Santa Sede, non solo a livello
di Seminari, ma come atteggiamento convinto e condiviso di tutte le Chiese locali.