2008-06-25 14:28:19

Mons. Tomasi: ampliare le misure di tutela per i rifugiati a seconda delle varie esigenze, perché non siano confusi con gli immigrati irregolari


Proteggere i rifugiati o i semplici sfollati, in fuga dai Paesi di origine a causa di conflitti o altre calamità, è un’azione che deve essere ripensata su scala internazionale, diversificandola a seconda delle varie tipologie di persone che sono costrette a ricorrervi. E’ quanto affermato in sintesi dall’arcivescovo silvano Maria Tomasi, intervenuto ieri nella sua veste di osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra al 42.mo incontro del Comitato permanente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Sui contenuti dell’intervento, il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Quaranta milioni di persone “sradicate dalla violenza e dalla persecuzione” al centro di un paradosso mondiale: al crescere dell'“ondata di persone in cerca di protezione”, le iniziative politiche - proposte e attuate – “si muovono nella direzione opposta di una maggiore restrizione e un maggior controllo di accesso alla sicurezza”. E in questo processo, “le vittime vere e proprie di abusi circa i diritti umani fondamentali e le vittime di specifiche ostilità sono confusamente catalogate con le altre persone in movimento”. Mentre per sei milioni di persone, “l’esilio protratto” dalla propria patria “si trasforma in un’ulteriore condizione di sofferenza”. E’ la constatazione che mons. Tomasi ha posto all’inizio del suo intervento, stigmatizzando sia “l’insufficiente azione di tutela” in favore di “un numero sempre maggiore” di rifugiati, e di altre persone aventi diritto alla protezione nel mondo, sia la “crescente insensibilità verso i richiedenti asilo, il cui numero - ha sottolineato - è aumentato tanto nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo”.

Del resto, osserva mons. Tomasi, “la protezione è un concetto dinamico che si è evoluto dalla Seconda guerra mondiale”, proprio perché la Convenzione del 1951 sui rifugiati ha legato la loro protezione alla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo. Col tempo, ha proseguito il presule, altri strumenti sono stati sviluppati in riferimento ad alcune situazioni regionali e con il passare del tempo, l'Assemblea generale dell’ONU “ha esteso la capacità di tutela dell'UNHCR ai gruppi non coperti dalla Convenzione, come gli apolidi, i rimpatriati, e alcuni gruppi di sfollati interni”. Tutte queste misure, ha affermato, “sono state adottate sulla base della convinzione che la protezione internazionale non è statica, ma un'azione mirata a trovare soluzioni in modo tale che alle popolazioni sradicate possano ricominciare la loro vita con dignità”.

 
Dunque, ha auspicato mons. Tomasi, la protezione rimane un concetto che può essere ulteriormente ampliato, includendovi persone con precise esigenze di tutela. Il presule ne ha indicate quattro, tra le quali il diritto al “cibo sufficiente” per chi vive nei campi di rifugiati, che lo metta al riparo dal rischio di arresto e di deportazione per aver tentato di uscirvi in cerca di lavoro. Ma anche la necessità di predisporre, ha soggiunto, “adeguati canali di ingresso legale” per i richiedenti-asilo, che non li contringano agli stessi iter dei clandestini, esponendoli a violenze o abusi. E infine, le misure detentive le quali, ha detto il rappresentante vaticano, dovrebbero essere utilizzate come “risorsa ultima” e soprattutto “evitate per i minori, per i quali risultano particolarmente traumatizzanti”.







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