Mons. Tomasi: ampliare le misure di tutela per i rifugiati a seconda delle varie esigenze,
perché non siano confusi con gli immigrati irregolari
Proteggere i rifugiati o i semplici sfollati, in fuga dai Paesi di origine a causa
di conflitti o altre calamità, è un’azione che deve essere ripensata su scala internazionale,
diversificandola a seconda delle varie tipologie di persone che sono costrette a ricorrervi.
E’ quanto affermato in sintesi dall’arcivescovo silvano Maria Tomasi, intervenuto
ieri nella sua veste di osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra
al 42.mo incontro del Comitato permanente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i rifugiati. Sui contenuti dell’intervento, il servizio di Alessandro De Carolis:
Quaranta
milioni di persone “sradicate dalla violenza e dalla persecuzione” al centro di un
paradosso mondiale: al crescere dell'“ondata di persone in cerca di protezione”, le
iniziative politiche - proposte e attuate – “si muovono nella direzione opposta di
una maggiore restrizione e un maggior controllo di accesso alla sicurezza”. E in questo
processo, “le vittime vere e proprie di abusi circa i diritti umani fondamentali e
le vittime di specifiche ostilità sono confusamente catalogate con le altre persone
in movimento”. Mentre per sei milioni di persone, “l’esilio protratto” dalla propria
patria “si trasforma in un’ulteriore condizione di sofferenza”. E’ la constatazione
che mons. Tomasi ha posto all’inizio del suo intervento, stigmatizzando sia “l’insufficiente
azione di tutela” in favore di “un numero sempre maggiore” di rifugiati, e di altre
persone aventi diritto alla protezione nel mondo, sia la “crescente insensibilità
verso i richiedenti asilo, il cui numero - ha sottolineato - è aumentato tanto nei
Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo”. Del
resto, osserva mons. Tomasi, “la protezione è un concetto dinamico che si è evoluto
dalla Seconda guerra mondiale”, proprio perché la Convenzione del 1951 sui rifugiati
ha legato la loro protezione alla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo.
Col tempo, ha proseguito il presule, altri strumenti sono stati sviluppati in riferimento
ad alcune situazioni regionali e con il passare del tempo, l'Assemblea generale dell’ONU
“ha esteso la capacità di tutela dell'UNHCR ai gruppi non coperti dalla Convenzione,
come gli apolidi, i rimpatriati, e alcuni gruppi di sfollati interni”. Tutte queste
misure, ha affermato, “sono state adottate sulla base della convinzione che la protezione
internazionale non è statica, ma un'azione mirata a trovare soluzioni in modo tale
che alle popolazioni sradicate possano ricominciare la loro vita con dignità”.
Dunque,
ha auspicato mons. Tomasi, la protezione rimane un concetto che può essere ulteriormente
ampliato, includendovi persone con precise esigenze di tutela. Il presule ne ha indicate
quattro, tra le quali il diritto al “cibo sufficiente” per chi vive nei campi di rifugiati,
che lo metta al riparo dal rischio di arresto e di deportazione per aver tentato di
uscirvi in cerca di lavoro. Ma anche la necessità di predisporre, ha soggiunto, “adeguati
canali di ingresso legale” per i richiedenti-asilo, che non li contringano agli stessi
iter dei clandestini, esponendoli a violenze o abusi. E infine, le misure detentive
le quali, ha detto il rappresentante vaticano, dovrebbero essere utilizzate come “risorsa
ultima” e soprattutto “evitate per i minori, per i quali risultano particolarmente
traumatizzanti”.