Sì di Israele all’accordo di tregua di sei mesi con Hamas nella Striscia di Gaza a
partire da domani. Un’intesa raggiunta grazie alla mediazione dell’Egitto che si è
impegnato per impedire il contrabbando di armi dal Sinai verso la Striscia. Lo Stato
ebraico ha però fatto sapere che qualsiasi attacco, a prescindere da chi ne sia responsabile,
metterà fine all’accordo. Ismail Haniyeh, uno dei leader di Hamas, si è detto fiducioso
sulla durata del cessate-il-fuoco che porterà benefici ad oltre un milione di palestinesi.
L’intesa arriva nel giorno in cui Israele si è detto pronto ad aprire negoziati di
pace con il Libano mentre Hezbollah ha annunciato di non accettare la proposta di
porre le fattorie di Shebaa, il contestato territorio di confine con Israele, sotto
la supervisione dell’ONU. Ma si può parlare di concreto passo verso la distensione
almeno nella zona della Striscia di Gaza? Giancarlo La Vella lo ha chiesto
a Maria Grazia Enardu, docente di relazioni internazionali all’università di
Firenze ed esperta di Medio Oriente:
R. – Sì.
Si può parlare di un concreto passo da parte del governo Olmert che è in grandi difficoltà
interne e anche della necessità di Hamas di avere una sorta di vittoria politica,
militare e anche economica per le disperate condizioni di Gaza. Quello che rende questo
accordo veramente interessante è il secondo passo: se per sei mesi Hamas garantisce
la quiete a Gaza significa che ha anche il controllo dei gruppi minori e così ci potrebbe
essere anche un cessate-il-fuoco in Cisgiordania. D. – Questa
intesa rappresenta un riconoscimento politico di Hamas. Comunque, mette in un angolo
il presidente Abu Mazen ... R. – Sì: anche perché da tempo ci
sono due "mezzi Stati" palestinesi, uno a Gaza e uno nella Cisgiordania, ma a questo
punto si rischia il paradossale risultato che quanto ottenuto da Hamas a Gaza possa
servire al movimento estremista come leva d’azione sulla Cisgiordania. D.
– La politica di contatti che sta portando avanti Israele si arricchisce con l’annuncio
di possibili colloqui anche con il Libano. Come interpretare questa fase politica? R.
– I colloqui con il Libano vanno portati avanti perché ci sono due ostaggi in mano
libanese, ovvero nelle mani degli Hezbollah, e questi due ostaggi, insieme all’ostaggio
detenuto da Hamas a Gaza, sono per Israele prioritari. Quindi, i colloqui ci saranno
ma saranno anch’essi colloqui interlocutori perché l’obiettivo minimo è liberare quegli
uomini. Questo non esclude altri passi più concreti per accordi di pace che richiedono
un ridisegno totale di tutta la questione. D. – Questa intesa
ha suscitato le perplessità e anche la critica degli Stati Uniti ... R.
– Sicuramente è una questione mediorientale: l’Egitto si è tanto adoperato sia per
ragioni interne ma anche per ragioni internazionali di stabilità, perché nessuno ha
più interesse per la risoluzione dei problemi dell’area che gli stessi Paesi dell’area.