Imitate la compassione di Cristo per i poveri e i deboli: così il Papa nella Messa
a Brindisi. La Chiesa - ha detto - è fatta di peccatori che si lasciano trasformare
da Dio in santi
“Siate segni e strumenti della compassione, della misericordia di Gesù”: è quanto
ha affermato Benedetto XVI stamani durante l’omelia della Messa celebrata alla Banchina
di Sant’Apollinare nel Porto di Brindisi. Il Papa ha iniziato ieri pomeriggio a Santa
Maria di Leuca il suo decimo viaggio pastorale in Italia. Nella serata l’arrivo a
Brindisi. Ecco il testo integrale dell’omelia di questa mattina: Cari fratelli
e sorelle, al centro di questa mia visita a Brindisi celebriamo, nel Giorno
del Signore, il mistero che è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa. Celebriamo
Cristo nell’Eucaristia, il dono più grande scaturito dal suo Cuore divino e umano,
il Pane della vita spezzato e condiviso, per farci diventare una cosa sola con Lui
e tra di noi. Saluto con affetto tutti voi, convenuti in questo luogo così simbolico,
il porto, che evoca i viaggi missionari di Pietro e di Paolo. Vedo con gioia tanti
giovani, che hanno animato la veglia questa notte, preparandosi alla Celebrazione
eucaristica. E saluto anche voi, che partecipate spiritualmente mediante la radio
e la televisione. Rivolgo in particolare il mio saluto al Pastore di quest’amata Chiesa,
Mons. Rocco Talucci, ringraziandolo per le parole pronunciate all’inizio della santa
Messa. Saluto pure gli altri Vescovi della Puglia, che hanno voluto essere qui con
noi in fraterna comunione di sentimenti. Sono particolarmente lieto della presenza
del Metropolita Gennadios, al quale porgo il mio saluto cordiale estendendolo a tutti
i fratelli Ortodossi e delle altre Confessioni, da questa Chiesa di Brindisi che per
la sua vocazione ecumenica ci invita a pregare e impegnarci per la piena unità di
tutti i cristiani. Saluto con riconoscenza le Autorità civili e militari che partecipano
a questa liturgia, augurando ogni bene per il loro servizio. Il mio pensiero affettuoso
va quindi ai presbiteri e ai diaconi, alle religiose e ai religiosi e a tutti i fedeli.
Un saluto speciale indirizzo ai malati dell’Ospedale e ai detenuti del Carcere, ai
quali assicuro il ricordo nella preghiera. Grazia e pace da parte del Signore ad ognuno
e a tutta la città di Brindisi! I testi biblici, che abbiamo
ascoltato in questa undicesima Domenica del tempo ordinario, ci aiutano a comprendere
la realtà della Chiesa: la prima Lettura (cfr Es 19,2-6a) rievoca l’alleanza stretta
presso il monte Sinai, durante l’esodo dall’Egitto; il Vangelo (cfr Mt 9,36–10,8)
è costituito dal racconto della chiamata e della missione dei dodici Apostoli. Troviamo
qui presentata la “costituzione” della Chiesa: come non avvertire l’implicito invito
rivolto ad ogni Comunità a rinnovarsi nella propria vocazione e nel proprio slancio
missionario? Nella prima Lettura, l’autore sacro narra il patto di Dio con Mosè e
con Israele al Sinai. È una delle grandi tappe della storia della salvezza, uno di
quei momenti che trascendono la storia stessa, nei quali il confine tra Antico e Nuovo
Testamento scompare e si manifesta il perenne disegno del Dio dell’Alleanza: il disegno
di salvare tutti gli uomini mediante la santificazione di un popolo, a cui Dio propone
di diventare “la sua proprietà tra tutti i popoli” (Es 19,5). In questa prospettiva
il popolo è chiamato a diventare una “nazione santa”, non solo in senso morale, ma
prima ancora e soprattutto nella sua stessa realtà ontologica, nel suo essere di popolo.
In che modo si debba intendere l’identità di questo popolo si è manifestato via via
nel corso degli eventi salvifici già nell’Antico Testamento; si è pienamente rivelato
poi con la venuta di Gesù Cristo. Il Vangelo odierno ci presenta un momento decisivo
per questa rivelazione. Quando infatti Gesù chiamò i Dodici voleva riferirsi simbolicamente
alle tribù d’Israele, risalenti ai dodici figli di Giacobbe. Perciò, ponendo al centro
della sua nuova comunità i Dodici, Egli fa capire di essere venuto a portare a compimento
il disegno del Padre celeste, anche se solo a Pentecoste apparirà il volto nuovo della
Chiesa: quando i Dodici, “pieni di Spirito Santo”, proclameranno il Vangelo parlando
tutte le lingue (At 2,3-4). Si manifesterà allora la Chiesa universale, raccolta in
un unico Corpo di cui Cristo risorto è il Capo e, al tempo stesso, inviata da Lui
a tutte le nazioni, fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,20). Lo
stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere
le cose più grandi in modo povero e umile. La solennità dei racconti di alleanza del
Libro dell’Esodo lascia nei Vangeli il posto a gesti umili e discreti, che però contengono
un’enorme potenzialità di rinnovamento. E’ la logica del Regno di Dio, non a caso
rappresentata dal piccolo seme che diventa un grande albero (cfr Mt 13,31-32). Il
patto del Sinai è accompagnato da segni cosmici che atterriscono gli Israeliti; gli
inizi della Chiesa in Galilea sono invece privi di queste manifestazioni, riflettono
la mitezza e la compassione del cuore di Cristo, ma preannunciano un’altra lotta,
un altro sconvolgimento che è quello suscitato dalle potenze del male. Ai Dodici –
l’abbiamo sentito – Egli “diede il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire
ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt 10,1). I Dodici dovranno cooperare con Gesù
nell’instaurare il Regno di Dio, cioè la sua signoria benefica, portatrice di vita,
e di vita in abbondanza per l’intera umanità. In sostanza, la Chiesa, come Cristo
e insieme con Lui, è chiamata e inviata a instaurare il Regno della vita e a scacciare
il dominio della morte, perché trionfi nel mondo la vita di Dio. Trionfi Dio che è
Amore. Questo è il disegno di Dio: diffondere sull’umanità e
sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Un progetto che tuttavia il Signore
vuole attuare solamente nel rispetto della nostra libertà, perché l’amore di sua natura
non si può imporre. La Chiesa è allora, in Cristo, lo spazio di accoglienza e di mediazione
dell’amore di Dio. In questa prospettiva appare chiaramente come la santità e la missionarietà
della Chiesa costituiscano due facce della stessa medaglia: solo in quanto santa,
cioè colma dell’amore divino, la Chiesa può adempiere la sua missione, ed è proprio
in funzione di tale compito che Dio l’ha scelta e santificata quale sua proprietà.
Sul binomio “santità-missione” la vostra Comunità ecclesiale, cari fratelli e sorelle,
si sta misurando in questo momento, impegnata com’è nel Sinodo diocesano. Al riguardo,
è utile riflettere che i dodici Apostoli non erano uomini perfetti, scelti per la
loro irreprensibilità morale e religiosa. Erano sicuramente credenti, pieni di entusiasmo
e di zelo, ma segnati dai loro limiti umani, talora anche gravi. Dunque, Gesù non
li chiamò perché erano già santi, ma affinché lo diventassero. Come noi. Come tutti
i cristiani. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato la sintesi dell’apostolo Paolo:
“Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo
è morto per noi” (Rm 5,8). La Chiesa è la comunità dei peccatori che credono all’amore
di Dio e si lasciano trasformare da Lui, e così diventano santi. Nella
luce di questa provvidenziale Parola di Dio, ho la gioia quest’oggi di confermare
il cammino della vostra Chiesa. E’ un cammino di santità e di missione, sul quale
il vostro Arcivescovo vi ha invitato a riflettere nella sua recente Lettera pastorale;
è un cammino che egli ha ampiamente verificato nel corso della visita pastorale e
che ora intende promuovere mediante il Sinodo diocesano. Il Vangelo di oggi ci suggerisce
lo stile della missione, cioè l’atteggiamento interiore che si traduce in vita vissuta.
Non può che essere quello di Gesù: lo stile della “compassione”. L’evangelista lo
evidenzia attirando l’attenzione sullo sguardo di Cristo verso le folle: “Vedendole
– egli scrive – ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore
senza pastore” (Mt 9,36). E, dopo la chiamata dei Dodici, ritorna questo atteggiamento
nel comando che Egli dà loro di rivolgersi “alle pecore perdute della casa d’Israele”
(Mt 10,6). In queste espressioni si sente l’amore di Cristo per la sua gente, specialmente
per i piccoli e i poveri. La compassione cristiana non ha niente a che vedere col
pietismo, con l’assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e condivisione,
ed è animata dalla speranza. Non nasce forse dalla speranza la parola che Gesù dice
agli apostoli: “Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino” (Mt 10,7)?
E’ speranza, questa, che si fonda sulla venuta del Cristo, e che in ultima analisi
coincide con la sua Persona e col suo mistero di salvezza, come bene ricordava nel
titolo il quarto Convegno ecclesiale italiano, celebrato a Verona: Cristo risorto
è la “speranza del mondo”. Animati dalla speranza nella quale
siete stati salvati, anche voi, fratelli e sorelle di questa antica Chiesa di Brindisi,
siate segni e strumenti della compassione, della misericordia di Cristo. Al Vescovo
e ai presbiteri ripeto con fervore le parole del Maestro divino: “Guarite gli infermi,
risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date” (Mt 10,8). Questo mandato è rivolto ancora oggi in primo luogo
a voi. Lo Spirito che agiva in Cristo e nei Dodici, è lo stesso che opera in voi e
che vi permette di compiere tra la vostra gente, in questo territorio, i segni del
Regno di amore, di giustizia e di pace che viene, anzi, che è già nel mondo. Ma la
missione di Gesù si partecipa in diversi modi a tutti i membri del Popolo di Dio,
per la grazia del Battesimo e della Confermazione. Penso alle persone consacrate che
professano i voti di povertà, verginità e obbedienza; penso ai coniugi cristiani e
a voi, fedeli laici, impegnati nella comunità ecclesiale e nella società sia personalmente
che in forma associata. Cari fratelli e sorelle, tutti siete destinatari del desiderio
di Gesù di moltiplicare gli operai nella messe del Signore (cfr Mt 9,38). Questo desiderio,
che chiede di farsi preghiera, ci fa pensare in primo luogo ai seminaristi e al nuovo
Seminario di questa Arcidiocesi; ci fa considerare che la Chiesa è, in senso lato,
un grande “seminario”, incominciando dalla famiglia, fino alle comunità parrocchiali,
alle associazioni e ai movimenti di impegno apostolico. Tutti, nella varietà dei carismi
e dei ministeri, siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore. Cari
fratelli e sorelle di Brindisi, proseguite il cammino intrapreso con questo spirito.
Veglino su di voi i vostri Patroni, san Leucio e sant’Oronzo, giunti entrambi nel
secondo secolo dall’Oriente per irrigare questa terra con l’acqua viva della Parola
di Dio. Le reliquie di san Teodoro d’Amasea, venerate nella Cattedrale di Brindisi,
vi ricordino che dare la vita per Cristo è la predica più efficace. San Lorenzo, figlio
di questa Città, divenuto, sulle orme di Francesco d’Assisi, apostolo di pace in un’Europa
lacerata da guerre e discordie, vi ottenga il dono di un’autentica fraternità. Tutti
vi affido alla protezione della Beata Vergine Maria, Madre della speranza e Stella
dell’evangelizzazione. Vi aiuti la Vergine Santa a rimanere nell’amore di Cristo,
perché possiate portare frutti abbondanti a gloria di Dio Padre e per la salvezza
del mondo. Amen.