Dalla schiavitù della prostituzione alla speranza nella vita: la testimonianza
di Roberto Gerali, animatore del Servizio Antitratta della Comunità Papa Giovanni
XXIII
Fu l’incontro nel 1989 di don Oreste Benzi con una prostituta alla stazione di Rimini
a rivelare l’orrore della prostituzione e lo stato di oppressione che si celava dietro
questo aberrante fenomeno. Da allora, i volontari della “Comunità Papa Giovanni XXIII”
hanno iniziato ad incontrare le ragazze sulle strade per liberarle dalla schiavitù
della prostituzione. Oggi il servizio Antitratta voluto da don Benzi prosegue con
coraggio la sua attività di strada ed opera in 13 diverse regioni italiane. Alessandro
Gisotti ha chiesto all’animatore generale del servizio Antitratta, Roberto
Gerali di raccontare l’esperienza di riscatto delle donne liberate dalla strada: (musica)R.
– Noi partiamo da Cristo. Quindi, in questa visione, in questa luce, per noi ogni
persona ha la propria dignità. E quindi, nel caso di queste donne, di queste ragazze
che noi troviamo sulle strade, sono tutte schiavizzate dalla prostituzione, da quelle
extracomunitarie a quelle comunitarie. Andiamo sulle strade, incontriamo queste nostre
“sorelle” e “figlie”, come le chiamiamo noi: non prostitute! E quindi, avviene questo
incontro, intanto nel luogo dove loro sono costrette a stare. E noi diciamo: vieni
via con noi, ti vogliamo liberare, ti vogliamo portare via da questa schiavitù!
D.
– Ma quali sono le difficoltà maggiori che incontrate? Sono donne purtroppo abituate
ad avere solo violenza dagli altri ...
R. – Infatti,
non è semplice. Se noi avessimo una figlia, che magari viene portata via, e non c’è
più, non la troviamo più nella nostra casa, nella nostra famiglia, e magari veniamo
a sapere che è sulla strada, magari, in Olanda, in Germania ... che cosa facciamo?
Noi faremmo proprio l’impossibile per portarla via. E’ chiaro che c’è un inganno all’origine,
quindi non è facile costruire subito un rapporto di fiducia con loro. Però, è un atto
di giustizia nei loro confronti!
D. – Nella sua esperienza,
come queste donne – umiliate nel corpo e nello spirito – ritrovano la speranza nella
vita?
D. – Sono quasi 6.500 donne e bambine che sono
venute via, che sono passate nelle nostre case-famiglia; abbiamo visto delle vite
trasformate, abbiamo visto dei miracoli: bambine che riprendono a studiare, che riprendono
una vita normale, tante ragazze che ritrovano magari il calore di una famiglia e nello
stesso tempo, poi, riprendono fiducia in se stesse e riprendono in mano il proprio
cammino e la propria vita. Però, purtroppo – ecco la gravità – tante di loro subiscono
danni terribili, dei danni tali per cui rimarranno psichicamente provate per sempre!
D.
– C’è una storia che in qualche modo riassume il senso di questa missione, tra le
tante che lei ha conosciuto?
R. – Mi viene in mente
adesso una bambina, Erika, di 15 anni, dalla Polonia: purtroppo, lei ha avuto una
storia anche di abbandono familiare e poi le è rimasta solo la costrizione della schiavitù,
prima in Polonia e dopo, portata in Germania, nelle “vetrine” della Germania, a mostrare
la mercificazione del corpo, e poi in Italia, a Roma. E poi ha avuto il coraggio e
la forza di chiedere aiuto ai carabinieri che l’hanno portata da noi. Adesso è con
noi. E’ chiaro che sta ricostruendo la sua vita perché – capite bene – non è semplice
dopo ciò che ha vissuto! Per questo noi diciamo: non è giusto, devono essere puniti
coloro che compiono questo orrore sulle loro figlie! Perché pensiamo che non sono
nostre figlie, allora le dobbiamo trattare così? Non è giusto, non è giusto!