2008-06-15 14:24:00

Dalla schiavitù della prostituzione alla speranza nella vita: la testimonianza di Roberto Gerali, animatore del Servizio Antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII


Fu l’incontro nel 1989 di don Oreste Benzi con una prostituta alla stazione di Rimini a rivelare l’orrore della prostituzione e lo stato di oppressione che si celava dietro questo aberrante fenomeno. Da allora, i volontari della “Comunità Papa Giovanni XXIII” hanno iniziato ad incontrare le ragazze sulle strade per liberarle dalla schiavitù della prostituzione. Oggi il servizio Antitratta voluto da don Benzi prosegue con coraggio la sua attività di strada ed opera in 13 diverse regioni italiane. Alessandro Gisotti ha chiesto all’animatore generale del servizio Antitratta, Roberto Gerali di raccontare l’esperienza di riscatto delle donne liberate dalla strada:RealAudioMP3
 
(musica) R. – Noi partiamo da Cristo. Quindi, in questa visione, in questa luce, per noi ogni persona ha la propria dignità. E quindi, nel caso di queste donne, di queste ragazze che noi troviamo sulle strade, sono tutte schiavizzate dalla prostituzione, da quelle extracomunitarie a quelle comunitarie. Andiamo sulle strade, incontriamo queste nostre “sorelle” e “figlie”, come le chiamiamo noi: non prostitute! E quindi, avviene questo incontro, intanto nel luogo dove loro sono costrette a stare. E noi diciamo: vieni via con noi, ti vogliamo liberare, ti vogliamo portare via da questa schiavitù!

 
D. – Ma quali sono le difficoltà maggiori che incontrate? Sono donne purtroppo abituate ad avere solo violenza dagli altri ...

 
R. – Infatti, non è semplice. Se noi avessimo una figlia, che magari viene portata via, e non c’è più, non la troviamo più nella nostra casa, nella nostra famiglia, e magari veniamo a sapere che è sulla strada, magari, in Olanda, in Germania ... che cosa facciamo? Noi faremmo proprio l’impossibile per portarla via. E’ chiaro che c’è un inganno all’origine, quindi non è facile costruire subito un rapporto di fiducia con loro. Però, è un atto di giustizia nei loro confronti!

 
D. – Nella sua esperienza, come queste donne – umiliate nel corpo e nello spirito – ritrovano la speranza nella vita?

 
D. – Sono quasi 6.500 donne e bambine che sono venute via, che sono passate nelle nostre case-famiglia; abbiamo visto delle vite trasformate, abbiamo visto dei miracoli: bambine che riprendono a studiare, che riprendono una vita normale, tante ragazze che ritrovano magari il calore di una famiglia e nello stesso tempo, poi, riprendono fiducia in se stesse e riprendono in mano il proprio cammino e la propria vita. Però, purtroppo – ecco la gravità – tante di loro subiscono danni terribili, dei danni tali per cui rimarranno psichicamente provate per sempre!

 
D. – C’è una storia che in qualche modo riassume il senso di questa missione, tra le tante che lei ha conosciuto?

 
R. – Mi viene in mente adesso una bambina, Erika, di 15 anni, dalla Polonia: purtroppo, lei ha avuto una storia anche di abbandono familiare e poi le è rimasta solo la costrizione della schiavitù, prima in Polonia e dopo, portata in Germania, nelle “vetrine” della Germania, a mostrare la mercificazione del corpo, e poi in Italia, a Roma. E poi ha avuto il coraggio e la forza di chiedere aiuto ai carabinieri che l’hanno portata da noi. Adesso è con noi. E’ chiaro che sta ricostruendo la sua vita perché – capite bene – non è semplice dopo ciò che ha vissuto! Per questo noi diciamo: non è giusto, devono essere puniti coloro che compiono questo orrore sulle loro figlie! Perché pensiamo che non sono nostre figlie, allora le dobbiamo trattare così? Non è giusto, non è giusto!

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