Nuovo no dell’Iran sulla questione del nucleare: Teheran non ferma i suoi programmi
atomici
Teheran chiude alla proposta del “5+1” che prevedeva incentivi in cambio della sospensione
del programma di arricchimento dell'uranio. L'Iran, ha fatto sapere il portavoce del
governo, ''respingerà qualsiasi proposta della comunità internazionale'' riguardo
i suoi piani nucleari. Da Parigi il presidente Sarkoky e Bush, al termine dell'incontro
che dovrebbe far dimenticare i burrascosi rapporti durante la presidenza Chirac,
si sono detti molti delusi della scelta di Teheran. Il servizio di Marco Guerra:
La Repubblica
islamica non è disposta ad accettare alcun pacchetto che preveda uno stop alle attività
di arricchimento dell’uranio. Il governo iraniano respinge così al mittente le nuove
proposte messe a punto dal “5+1”, proprio mentre stamani, nella capitale del Paese,
il responsabile della politica estera della UE, Solana, illustrava al capo della diplomazia
di Teheran l’offerta degli incentivi in cambio della sospensione del programma nucleare.
Si tratta in pratica di aiuti economici e commerciali che avrebbero potuto aprire
la strada a uno sblocco della disputa su basi diplomatiche, per scongiurare il ricorso
alle ulteriori sanzioni minacciate di recente da Unione Europea e Stati Uniti. Un
pacchetto che tuttavia non è altro che la versione aggiornata e ampliata di quello
che Teheran aveva rifiutato nel 2006. Per questo motivo lo stesso Solana, alla vigilia
della sua missione diplomatica, aveva comunque avvertito che non ci si sarebbe dovuti attendere
una vera e propria svolta nelle trattative. Ciò nonostante Bush e Sarkozy, al termine
del colloquio all’Eliseo di questa mattina, che aveva in cima all’agenda proprio la
questione del nucleare iraniano, hanno espresso tutto il loro rammarico per il rifiuto
di Teheran di accogliere la richiesta della comunità internazionale di sospendere
l’arricchimento dell’uranio. "Si tratta di un'indicazione al popolo iraniano che la
loro leadership vuole isolarli ancora di più”, ha commentato Bush in conferenza stampa.
I due capi di Stato hanno poi lanciato un monito alla Siria affinché si dissoci il
prima possibile dalle politiche dell’Iran.
Afghanistan Sono
oltre 1.100 i detenuti evasi ieri dal carcere afghano di Kandahar, nell'assalto con
esplosivi, rivendicato oggi dai talebani, che ha causato la morte di almeno 15 guardie
penitenziarie. Secondo le autorità del Paese asiatico tra gli evasi ci sarebbero almeno
400 estremisti islamici. L'esercito afghano e le truppe della coalizione internazionale
sono ora impegnate in una vera e propria caccia all'uomo. L’attacco è stato portato
a termine con due camion pieni di esplosivo che hanno aperto una breccia nella struttura,
attraverso la quale hanno fatto irruzione almeno 30 insorti che hanno consentito ai
detenuti di fuggire. Sempre ieri, provincia orientale di Nangarhar, un convoglio dell’ISAF
è stato oggetto di un attentato suicida. ISAF ha conferma di aver subito diverse perdite
ma non ha precisato il numero delle vittime né la loro nazionalità.
Medio
Oriente Un anno fa, dopo duri scontri con le forze di Fatah, le milizie islamiche
di Hamas si impossessavano della Striscia di Gaza, provocando di fatto una divisione
politica nei Territori palestinesi, tra Cisgiordania sotto Fatah, e Gaza sotto Hamas.
Quell’evento ha avuto una serie di conseguenze non solo interne, ma anche nell’attività
di mediazione internazionale per la soluzione della questione israelo-palestinese.
Quale lettura si può dare oggi di quell’episodio? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto a Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente dell’Università di Bologna:
R. - Per
quello che riguarda Fatah, si è trattato di un colpo di stato vero e proprio, fatto
da Hamas ai danni dell’autonomia nazionale palestinese. La versione, invece, che ha
dato Hamas, nel suo colpo di mano, è di essere stato costretto ad intervenire perché
Fatah stava tramando con gli Stati Uniti e con Israele per rafforzare i propri apparati
di sicurezza a Gaza e quindi procedere poi ad una resa dei conti con Hamas. A questo
punto, noi esterni - ed Israele in particolare - non sappiamo più che cosa sia la
causa palestinese. Dobbiamo vedere in Hamas, quindi in una possibile rivolta armata,
il senso della liberazione della Palestina, o la strada, invece, indicata da Abu Mazen,
da Fatah, che preme per un continuo negoziato sia con Israele che con l’Occidente?
D.
– Possiamo dire che il consenso popolare si è pian piano trasferito da Fatah ad Hamas
nella Striscia di Gaza?
R. - La gestione che Fatah
aveva fatto dell’autonomia nazionale palestinese era passata molto sulla testa dei
cosiddetti “palestinesi dell’interno”, cioè, erano stati quelli che venivano dall’esilio
a prendere in mano tutte le redini della situazione e molte volte a passare sopra
alle esigenze e alla popolazione che invece aveva sempre vissuto sotto l’occupazione
israeliana. Hamas, molto del consenso che ha ricevuto, lo ha ricevuto proprio perché
era espressione di un malessere reale e naturalmente di una contestazione della gestione
del potere fatta da Arafat e da Fatah.
D. – La crisi
umanitaria, sempre più crescente nella zona della Striscia di Gaza, a chi è imputabile?
R.
– Certamente allo stesso Hamas che non ha voluto o potuto – qui l’interrogativo è
d’obbligo – trovare una strada negoziale. Poi l’irrigidimento da parte di Israele
che però su questo si gioca la sua sopravvivenza: non dimentichiamo che nella carta
di Hamas c’è scritto, chiaro e tondo, che Israele va distrutto. Inoltre, c'è stato
l’irrigidimento dei principali donatori internazionali. Giappone Sono
quattro i morti accertati, circa un centinaio i feriti e una decina i dispersi, ma
il bilancio è provvisorio, del terremoto di magnitudo 7,2 sulla scala Richter che
ha colpito la parte settentrionale del Giappone alle 8.43 ora locale. A comunicarlo
è la tv giapponese che riferisce, in particolare, di alcuni dispersi sepolti in un
bagno termale in un hotel di Kurihara, nel distretto di Miyagi, altri in un cantiere
nella stessa città. I danni causati, finora, sembrano essere frane, smottamenti e
circa 30mila abitazioni rimaste senza elettricità per alcune ore. Secondo l’Agenzia
meteorologica giapponese, l’epicentro è stato nel nord del Paese, nella prefettura
di Iwate, nell’isola principale di Honshu, dove si sono verificati i danni, ma le
scosse si sono avvertite fino nella capitale, Tokio. Il sisma ha provocato anche una
piccola perdita di acqua, circa 14,8 litri, che si trovava in una vasca di stoccaggio
per scorie radioattive nella centrale nucleare di Fukushima. A riportare la notizia
è la Tokio Electric Power Company, la compagnia che gestisce l’impianto, che ha però
precisato che non esistono rischi per la popolazione né per l’ambiente, in quanto
la perdita è rimasta all’interno dell’area della centrale.
Cina È
di 27 minatori morti e sette ancora intrappolati, il bilancio di un grave incidente
avvenuto ieri mattina in una miniera della regione dello Shanxi. L’agenzia Nuova Cina
ha diffuso soltanto oggi la notizia dell’esplosione, riferendo che ricerche di altri
sopravvissuti sono ancora in corso. Le miniere cinesi sono ritenute tra le più pericolose
al mondo, anche se il bilancio delle vittime nel 2007 è stato di 3800 operai, in calo
del 20 per cento rispetto al 2006. Secondo le organizzazioni dei lavoratori indipendenti,
invece, i decessi tra i minatori ogni anno ammonterebbero a circa 20mila, tanto che
il governo ha avviato una campagna per la chiusura di quelle non a norma di sicurezza.
In Cina circa il 70 per cento dell’energia proviene dal carbone.
Zimbabwe
Lo spettro di un conflitto armato incombe nella già turbolenta campagna elettorale
per secondo turno delle elezioni presidenziali dello Zimbabwe del 27 giugno. Il presidente
dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ieri ha assicurato che gli ex combattenti della guerra
di liberazione degli anni Settanta sono pronti a imbracciare le armi in caso di vittoria
dell'opposizione. Fra l’altro in questi giorni al leader dell’opposizione Tsvangirai
e al suo partito è praticamente impedito di fare campagna elettorale. Diversi i raduni
proibiti e gli arresti tra gli esponenti del Movimento per il Cambiamento Democratico
(MDC). Un quadro che rischia di precipitare anche per la situazione umanitaria evidenziata
dall’ONU, secondo cui almeno un quarto della popolazione del Paese africano rischia
la fame.
Colombia Si palesa le possibilità di un accordo tra il
governo di Bogotà e le Forze Amate Rivoluzionarie Colombiane (FARC), per il rilascio
di Ingrid Betancourt. Il presidente colombiano Alvaro Uribe ha riferito di una bozza
di accordo proposta dai guerriglieri ai servizi segreti colombiani che riguarderebbe
uno scambio fra la donna, nelle mani delle FARC da sei anni, e la promessa di non
estradare negli USA un membro delle FARC attualmente detenuto. Il presidente Uribe
ha dichiarato di augurarsi che la possibilità di giungere a un accordo sia reale.
Le FARC il mese scorso hanno annunciato la morte del loro leader, Pedro Antonio Marin,
sostituito da Alfonso Cano. Ingrid Betancourt, di nazionalità franco-colombiana e
fondatrice del Partido Verde Oxígeno, fu rapita dal gruppo di guerriglieri il 23 febbraio
2002. Nei mesi scorsi alcuni ostaggi liberati dalle FARC avrebbero rivelato che la
donna è ancora viva, ma gravemente malata.
Iran Sedici poliziotti
iraniani sarebbero stati presi in ostaggio da separatisti sunniti del Balucistan:
a riportarlo è l’agenzia iraniana FARS. L’assalto alla stazione di polizia della città
di Saravan, in Balucistan, vicino al confine con il Pakistan, sarebbe avvenuto nella
notte tra giovedì e venerdì. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra
e Roberta Barbi) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 166 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.