Violenza sistematica contro le donne nella Repubblica Democratica del Congo: la denuncia
dei Padri Bianchi
Un "olocausto silenzioso", consumato alle spalle della grande informazione. E' quello
in atto nel Kivu, provincia della Repubblica Democratica del Congo, dove centinaia
e centinaia di bambine, donne giovani, adulte e anziane sono vittime sistematiche
di violenze brutali. La rivista dei Padri Bianchi "Africa - Missione e cultura" si
è incaricata di denunciare queste efferatezze. Fabio Colagrande ne ha parlato
con il direttore, padre Claudio Zuccala:
R. - Nella
provincia del Kivu, che è quella provincia della Repubblica Democratica del Congo
(RDC) che confina con gli Stati del Rwanda e del Burundi, da anni ormai e per una
serie di circostanze, si è creata questa situazione in cui la popolazione locale è
ormai vittima di una serie infinita di violenze, che soprattutto negli ultimi tempi
hanno come obiettivo le donne. Quando parlo di donne mi riferisco a tutte le donne
e quindi dalle bambine fino alle anziane, vittime di violenze ripetute, molto spesso
di natura sessuale, che hanno come scopo ultimo quello di rendere queste persone dei
rottami umani. Si tratta di un'azione paragonabile ad un genocidio: la distruzione
di una società a partire dalla sua cellula fondante - la donna - che viene distrutta
sia come persona, sia come essere umano capace di riprodurre. Questo genocidio, che
si consuma nel silenzio perchè se ne parla troppo poco e soprattutto a distanza, per
cui non lascia un impatto, io mi sentivo in dovere di essere uno fra i tanti che ne
parla: questo è ciò che succede e non si dica un giorno “questo non lo sapevamo”. D.
- Padre Zuccala, nella RDC non c’è una autorità locale che possa far rispettare le
leggi, gli esecutori di questi stupri godono di una grande impunità, la comunità internazionale
tace ed appare disinteressata. Davvero, dunque, non si può fare nulla per contrastare
questo olocausto? R. - Al momento, purtroppo, a livello di autorità
io sono molto, molto scettico. L’ONU ha quasi 18 mila uomini sul campo, ma finora
la sua si è rivelata essere una presenza - almeno da questo punto di vista - abbastanza
inutile. Non sono riusciti a proteggere le persone e soprattutto le donne. Il problema
è che l’autorità locale non c’è e non c’è da tempo, e quando c’è è rispettata solo
per timore di eventuali rappresaglie e quindi da questo versante c’è veramente poco
da aspettarsi. Gli unici che fanno qualcosa sono degli individui che con tanto coraggio,
con tanta determinazione e con tanta dedizione - congolesi e non, missionari e non
- hanno detto che questa è una situazione ormai così grave che non possiamo aspettare
né aspettarci niente da nessuno. Cominciamo, quindi, a fare quello che possiamo, con
le nostre risorse. Un dottore congolese, che opera da anni nell’Ospedale di Panzi,
nella periferia di Bukavu, cerca di aiutare - insieme con i suoi collaboratori - le
donne a rifarsi una vita. Come medico chirurgo, inizia anzitutto a ricostruirle fisicamente,
perchè si parla di ferite tremende inferte a queste donne con l’intenzione di renderle
veramente dei rottami umani. Con la sua équipe cerca poi di dare loro anche
una speranza di vita, cercando di curare le loro ferite psicologiche. Non è tutto
fermo, non è tutto paralizzato, perchè c’è qualche segnale di speranza. Purtroppo,
però, a livello di autorità - sia locali che internazionali - c’è una latitanza preoccupante.