2008-06-11 15:37:47

I vescovi brasiliani auspicano la fine del lavoro in stato di schiavitù


La Conferenza episcopale del Brasile ha valutato con favore le iniziative intraprese dal Congresso nazionale relative alla proposta di riforma costituzionale che intende eliminare il lavoro in forma di schiavitù. Nelle aree rurali del Brasile infatti - riferisce l'Agenzia Fides - il lavoro in condizioni disumane o degradanti rappresenta un fenomeno abituale. “Il tempo è propizio per decretare la seconda abolizione dello stato di schiavitù nei campi brasiliani attraverso l’approvazione della norma”, affermano i vescovi. “Lo Stato brasiliano già riconobbe la gravità della situazione nel 1995, quando fu creato il Gruppo Mobile del Ministero del Lavoro per investigare e combattere quella pratica criminale. Così come riconosciuto successivamente, nell’agosto del 2003, da una relazione della Commissione Nazionale per l’eliminazione del lavoro in forma di schiavitù, organo vincolato alla Segreteria speciale dei diritti umani della presidenza della Repubblica con la funzione primaria di monitorare l’esecuzione del Piano Nazionale per l’eliminazione del lavoro in schiavitù. Nonostante la creazione di tali strumenti, non è stato possibile mettere fine a questa vergogna nazionale”, continua il documento. In effetti soltanto nell’anno 2007 sono stati registrati 265 casi di lavoro in forma di schiavitù in tutto il Brasile, fenomeno che coinvolge 8.653 lavoratori. Dal 1995, anno in cui è stato istituito il Gruppo Mobile, e fino alla fine del 2007, sono state liberate 26.951 persone. In tale periodo la Commissione Pastorale per l’Agricoltura ha raccolto denunce che riguardano oltre 50 mila lavoratori che, come afferma la Conferenza dei vescovi del Brasile, sono “fatti prigionieri con promesse, obbligati a lavorare in tenute, carbonaie e piantagioni di canna, trattati peggio degli animali e costretti a non poter interrompere la relazione con il proprio capo”. Secondo i presuli, l’approvazione della norma contro ogni forma di schiavitù “è un imperativo etico e morale della coscienza civile e, per i cristiani, rappresenta un’esigenza di coerenza con gli insegnamenti del Vangelo”. (R.P.)







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