Al presidente del Salvador Saca González, il premio Path to Peace
Ieri, presso la sede ONU di New York, è stato conferito al presidente del Salvador,
Elías Antonio Saca González, il Premio Path to Peace (Sentiero per la Pace) assegnato
dalla Fondazione omonima presieduta da mons. Celestino Migliore, osservatore permanente
della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Il presidente Saca - si legge nelle motivazioni
– ha operato per la pace e la democrazia nel Salvador impegnandosi in particolare
contro la povertà. Ma ascoltiamo, al microfono di Raul Cabrera, del nostro
programma Ispanoamericano, come il presidente Saca abbia accolto questo riconoscimento:
R. -
Lo recibo con toda la humildad del mundo... Lo ricevo con tutta la umiltà
del mondo, come un riconoscimento che dedico al popolo del Salvador. La Fondazione
Path to Peace non ha premiato un presidente, ma tutto il popolo salvadoregno che ha
ottenuto nel 1992 la pace, grazie anche al supporto della Chiesa cattolica. Una pace
tanto auspicata da Giovanni Paolo II. Fu lo stesso Pontefice che nel 1983 ci invitò
ad essere costruttori di pace. Per questo lo accolgo con molta gioia e come un tributo
a un popolo democratico e aperto al mondo, e ad un Paese dove adesso i cittadini vivono
meglio.
D. - Lei è stato premiato in particolare
per il suo impegno in favore della pace: qual è oggi la situazione del Salvador?
R.
- Después de 16 años de acuerdo de paz... A 16 anni dagli accordi di pace
siamo impegnati nella ricostruzione del Paese. Siamo una nazione moderna e democratica.
Il governo attuale che presiedo ha investito molto nel sociale. Abbiamo un programma
esemplare per la lotta contro la povertà che si chiama “Red Solidaridad”. A questo
si aggiunge “Fosalud”, un progetto che prevede interventi sanitari a favore di tutti
i cittadini, soprattutto i più bisognosi, e un forte rilancio delle politiche sociali
considerato che stiamo attraversando una crisi su scala planetaria. Abbiamo mantenuto
inalterati i prezzi dell’energia elettrica e del trasporto pubblico per non gravare
ulteriormente sulle fasce più deboli. Un paese libero, un Paese democratico, un Paese
che esercita l’apertura e il libero commercio deve poter contare su politiche sociali
chiare che diano sostegno alla stabilità e che supportino i più poveri. Negli ultimi
anni abbiamo ridotto di oltre 30 punti percentuali la povertà: ciò vuol dire che con
il piano di “Red Solidaridad” riusciremo a coprire le esigenze di un centinaio di
comuni sui 262 esistenti.
D. - Lei ha lottato anche
contro la violenza nel Paese: quali progressi sono stai compiuti?
R.
- Mire, cuando llegue a la presidencia... Quando arrivai alla presidenza
avevamo un Paese con 13 morti al giorno provocati dalla violenza delle pandillas o
maras un fenomeno relativamente nuovo in America Latina e in alcuni Paesi europei.
C’era anche molta violenza nelle famiglie. Dopo quattro anni di fermezza e di applicazione
delle leggi vigenti, portando in carcere i colpevoli e con forti investimenti nella
prevenzione siamo riusciti a ridurre omicidi, estorsioni, furti, e posso assicurare
che il Salvador di oggi è molto più sicuro di quattro anni fa.
D.
- Come considera l’impegno della comunità internazionale contro la povertà e la fame
nel mondo?
R. - Yo creo que hace falta más compromiso... Credo
che ci sia bisogno di più coinvolgimento da parte di tutti. E’ necessario un ulteriore
impegno unito ad una precisa assunzione di responsabilità. Ciascuno di noi è preoccupato
della crescita e dello sviluppo del proprio Paese, ma non possiamo certo dimenticare
gli ultimi. Sono convinto che dobbiamo impegnarci a tal fine. Incontrerò prossimamente
a New York il segretario generale delle Nazioni Unite per discutere sul documento
finale del recente summit della Fao tenutosi a Roma. Discuteremo del rialzo del petrolio,
della conseguente speculazione e dell’impatto che tale fenomeno sta avendo sui Paesi
più poveri. Di fronte ad un incremento così brusco del prezzo del greggio, anche i
Paesi meno ricchi, come il Salvador, non riescono a rimanere al passo con lo sviluppo
mondiale.
D. - Oggi le nazione ricche tendono a chiudersi
di fronte ai tanti poveri che bussano alla loro porta: come gestire oggi la situazione
della immigrazione?
R. - En primer lugar, el tema
de la inmigración... In primo luogo il tema dell’immigrazione dobbiamo affrontarlo
in modo positivo. Negli Stati Uniti, per esempio, vivono e lavorano 3 milioni di
salvadoregni. Si tratta di una comunità che è parte integrante e attiva del sistema
economico statunitense e, al tempo stesso, si prodiga per mantenere le proprie famiglie
rimaste a casa. L’immigrato è a tutti gli effetti una risorsa. I Paesi più ricchi,
in particolare, hanno l’obbligo morale di accoglierlo e di offrirgli la possibilità
di vivere e di lavorare e, nel contempo, devono assumersi l’impegno di sedersi accanto
alle nazioni più povere, cercare di risolvere i problemi della criminalità e così
cambiare il mondo.
D. - Come vede il ruolo della
Chiesa nella società?
R. - Mire, la voz de la Iglesia... La
voce della Chiesa e la voce di Benedetto XVI è stata molto chiara. La solidarietà
è fondamentale. I Paesi funzionano nel contesto di una economia di mercato, ma a quella
economia si deve aggiungere la disponibilità nei confronti di chi ha meno. La Chiesa
è una voce permanente, è una voce di denuncia, una voce che collabora, che guida.
E questo non soltanto nel mio Paese. Qui la Chiesa cattolica ha avuto un ruolo rilevante
nei cambiamenti democratici giocando un ruolo importante soprattutto per gli accordi
di pace. Ma lo stesso ruolo è stato svolto, e continua ad essere svolto, nel mondo
intero. Ho letto le encicliche di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II dove si accusa
l‘individualismo. Entrambi i Pontefici denunciano con forza la mancanza di solidarietà
nel mondo, e credo che la Chiesa debba continuare con i suoi appelli e con il suo
impegno.