2008-06-11 12:46:41

Al presidente del Salvador Saca González, il premio Path to Peace


Ieri, presso la sede ONU di New York, è stato conferito al presidente del Salvador, Elías Antonio Saca González, il Premio Path to Peace (Sentiero per la Pace) assegnato dalla Fondazione omonima presieduta da mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Il presidente Saca - si legge nelle motivazioni – ha operato per la pace e la democrazia nel Salvador impegnandosi in particolare contro la povertà. Ma ascoltiamo, al microfono di Raul Cabrera, del nostro programma Ispanoamericano, come il presidente Saca abbia accolto questo riconoscimento:RealAudioMP3


R. - Lo recibo con toda la humildad del mundo...
Lo ricevo con tutta la umiltà del mondo, come un riconoscimento che dedico al popolo del Salvador. La Fondazione Path to Peace non ha premiato un presidente, ma tutto il popolo salvadoregno che ha ottenuto nel 1992 la pace, grazie anche al supporto della Chiesa cattolica. Una pace tanto auspicata da Giovanni Paolo II. Fu lo stesso Pontefice che nel 1983 ci invitò ad essere costruttori di pace. Per questo lo accolgo con molta gioia e come un tributo a un popolo democratico e aperto al mondo, e ad un Paese dove adesso i cittadini vivono meglio.

 
D. - Lei è stato premiato in particolare per il suo impegno in favore della pace: qual è oggi la situazione del Salvador?

 
R. - Después de 16 años de acuerdo de paz...
A 16 anni dagli accordi di pace siamo impegnati nella ricostruzione del Paese. Siamo una nazione moderna e democratica. Il governo attuale che presiedo ha investito molto nel sociale. Abbiamo un programma esemplare per la lotta contro la povertà che si chiama “Red Solidaridad”. A questo si aggiunge “Fosalud”, un progetto che prevede interventi sanitari a favore di tutti i cittadini, soprattutto i più bisognosi, e un forte rilancio delle politiche sociali considerato che stiamo attraversando una crisi su scala planetaria. Abbiamo mantenuto inalterati i prezzi dell’energia elettrica e del trasporto pubblico per non gravare ulteriormente sulle fasce più deboli. Un paese libero, un Paese democratico, un Paese che esercita l’apertura e il libero commercio deve poter contare su politiche sociali chiare che diano sostegno alla stabilità e che supportino i più poveri. Negli ultimi anni abbiamo ridotto di oltre 30 punti percentuali la povertà: ciò vuol dire che con il piano di “Red Solidaridad” riusciremo a coprire le esigenze di un centinaio di comuni sui 262 esistenti.

 
D. - Lei ha lottato anche contro la violenza nel Paese: quali progressi sono stai compiuti?

 
R. - Mire, cuando llegue a la presidencia...
Quando arrivai alla presidenza avevamo un Paese con 13 morti al giorno provocati dalla violenza delle pandillas o maras un fenomeno relativamente nuovo in America Latina e in alcuni Paesi europei. C’era anche molta violenza nelle famiglie. Dopo quattro anni di fermezza e di applicazione delle leggi vigenti, portando in carcere i colpevoli e con forti investimenti nella prevenzione siamo riusciti a ridurre omicidi, estorsioni, furti, e posso assicurare che il Salvador di oggi è molto più sicuro di quattro anni fa.

 
D. - Come considera l’impegno della comunità internazionale contro la povertà e la fame nel mondo?

 
R. - Yo creo que hace falta más compromiso...
Credo che ci sia bisogno di più coinvolgimento da parte di tutti. E’ necessario un ulteriore impegno unito ad una precisa assunzione di responsabilità. Ciascuno di noi è preoccupato della crescita e dello sviluppo del proprio Paese, ma non possiamo certo dimenticare gli ultimi. Sono convinto che dobbiamo impegnarci a tal fine. Incontrerò prossimamente a New York il segretario generale delle Nazioni Unite per discutere sul documento finale del recente summit della Fao tenutosi a Roma. Discuteremo del rialzo del petrolio, della conseguente speculazione e dell’impatto che tale fenomeno sta avendo sui Paesi più poveri. Di fronte ad un incremento così brusco del prezzo del greggio, anche i Paesi meno ricchi, come il Salvador, non riescono a rimanere al passo con lo sviluppo mondiale.

 
D. - Oggi le nazione ricche tendono a chiudersi di fronte ai tanti poveri che bussano alla loro porta: come gestire oggi la situazione della immigrazione?

 
R. - En primer lugar, el tema de la inmigración...
In primo luogo il tema dell’immigrazione dobbiamo affrontarlo in modo positivo. Negli Stati Uniti, per esempio, vivono e lavorano 3 milioni di salvadoregni. Si tratta di una comunità che è parte integrante e attiva del sistema economico statunitense e, al tempo stesso, si prodiga per mantenere le proprie famiglie rimaste a casa. L’immigrato è a tutti gli effetti una risorsa. I Paesi più ricchi, in particolare, hanno l’obbligo morale di accoglierlo e di offrirgli la possibilità di vivere e di lavorare e, nel contempo, devono assumersi l’impegno di sedersi accanto alle nazioni più povere, cercare di risolvere i problemi della criminalità e così cambiare il mondo.

 
D. - Come vede il ruolo della Chiesa nella società?

 
R. - Mire, la voz de la Iglesia...
La voce della Chiesa e la voce di Benedetto XVI è stata molto chiara. La solidarietà è fondamentale. I Paesi funzionano nel contesto di una economia di mercato, ma a quella economia si deve aggiungere la disponibilità nei confronti di chi ha meno. La Chiesa è una voce permanente, è una voce di denuncia, una voce che collabora, che guida. E questo non soltanto nel mio Paese. Qui la Chiesa cattolica ha avuto un ruolo rilevante nei cambiamenti democratici giocando un ruolo importante soprattutto per gli accordi di pace. Ma lo stesso ruolo è stato svolto, e continua ad essere svolto, nel mondo intero. Ho letto le encicliche di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II dove si accusa l‘individualismo. Entrambi i Pontefici denunciano con forza la mancanza di solidarietà nel mondo, e credo che la Chiesa debba continuare con i suoi appelli e con il suo impegno.







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