Dieci anni fa moriva il cardinale Casaroli, artefice dell'Ostpolitik. Il ricordo del
cardinale Silvestrini
Dieci anni fa, il 9 giugno 1998, si spegneva in Vaticano, all’età di 83 anni, il
cardinale Agostino Casaroli, principale artefice, come segretario di Stato, dell’Ostpolitik
della Santa Sede, ovvero il dialogo avviato dalla Chiesa cattolica con i regimi comunisti
negli anni precedenti la caduta del Muro di Berlino. Alle 18.30 di oggi, il cardinale
Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, presiederà la Santa Messa di suffragio
nella Basilica romana dei Santi Apostoli, dove il cardinale Casaroli è sepolto. Nella
mattinata di domani, un convegno nell’Aula del Sinodo in Vaticano ricorderà il porporato
scomparso. Aprirà i lavori il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, con
un intervento dal titolo “L’Ostpolitik di Agostino Casaroli 1963-1989”. Seguirà una
riflessione a più voci su “Agostino Casaroli, tessitore delle relazioni fra i popoli”:
vi prenderanno parte il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio
per il dialogo interreligioso, e gli ex ministri degli Esteri di Francia, prof. Jean-Bernard
Raimond e Polonia, prof. Wladislaw Bartoszewski. Ancora un intervento, quello del
prof. Agostino Giovagnoli, docente all’Università Cattolica, intorno al tema “Ostpolitik,
un bilancio storiografico”, quindi le conclusioni affidate al presidente del Comitato
per le celebrazioni del decennale della morte di Casaroli, il cardinale Achille
Silvestrini, che fu per lunghi anni il suo più stretto collaboratore. Al cardinale
Silvestrini, Giovanni Peduto ha chiesto di parlarci di come il cardinale Casaroli
abbia condotto l’Ostpolitik della Santa Sede:
R. –
Bisogna pensare che quando lui cominciò nel 1963, che si era appena avviato il Concilio
ecumenico e Giovanni XXIII voleva che venissero i vescovi dall’Est, lui andò a visitare
il cardinale Mindszenty che era rifugiato nell’ambasciata degli Stati Uniti dopo il
fallimento della rivolta ungherese nel 1956. Nello stesso tempo, andò a vedere il
cardinale Beran, che era in una località sconosciuta, che aveva scritto una lettera
al Papa per sapere: “Che facciamo per la nostra Chiesa?”. Allora, l’incontro di Casaroli
con Beran avviò questa possibilità di occuparsi anche della Cecoslovacchia. Poi, tutto
il suo impegno dedicato al suo negoziato paziente con la Jugoslavia, con l’Ungheria,
con la Bulgaria, con la Cecoslovacchia per riprendere un rapporto che era stato completamente
interrotto. L’altro elemento della sua politica dell’Ostpolitik è la Conferenza di
Helsinki, che lui aveva promosso, che lui aveva coltivato: la proposta era venuta
dall’Est e il cardinale Casaroli, aveva capito che se la Santa Sede fosse entrata
“pleno iure” tra gli Stati membri della Conferenza di Helsinki, avrebbe acquisito
con tutti questi governi una legittimazione al negoziato, caso per caso. Quindi, questa
partecipazione che incominciò nel 1972 e si concluse con la firma dell’Atto finale,
fatta da lui, dal cardinal Casaroli, a Helsinki nel 1975, diede la possibilità in
seguito di sviluppare visite, contatti e negoziati con tutti questi Paesi.
D.
– Quali novità il cardinale Casaroli ha introdotto nella diplomazia vaticana?
R.
– Non è che lui abbia introdotto delle novità, ma è stato un esempio. Coniugava una
fede saldissima ad una grande finezza intellettuale; sapeva imporsi con la prudenza,
pazientare nelle situazioni, non per attendere semplicemente, ma per costruire quella
che gli sembrava una scelta coerente ed avanzata. Sapeva anche guidare gli altri verso
le ragioni di una decisione che lui aveva già maturato da tempo. Era quindi uomo di
grandi disegni!
D. – Accanto a quest’opera diplomatica,
il cardinale Casaroli ne svolgeva un’altra più silenziosa e quotidiana: la vicinanza
ai giovani emarginati appena usciti dal carcere …
R.
– Aiutava quelli che erano usciti dal carcere a trovare lavoro, a inserirsi nella
vita. Nell’ultima udienza di Giovanni XXIII, a metà maggio 1963, praticamente due
settimane prima della morte del Pontefice, mentre il cardinale Casaroli gli aveva
riferito sulle visite che aveva fatto a Budapest e a Praga, alla fine il Papa gli
disse: “Lei ci va ancora, da quei giovani a Casal del Marmo?” – “Sì!” – “Continui
da andarci!”, gli disse Giovanni XXIII. Era veramente come una specie di consegna
che il Papa gli aveva dato.
D. – Qual era la spiritualità
del cardinale Casaroli?
R. – Accanato al senso delle
cose possibili, poneva sempre una valutazione delle cose necessarie, cioè del costo
morale e spirituale che la Chiesa deve sostenere per fare una determinata scelta.
E’ una sapienza che gli dava il coraggio di agire nelle circostanze più difficili,
quando di fronte al dubbio e alla solitudine delle scelte, rimane solo la preghiera,
l’affidamento al Signore, il salto rischioso nell’atto di speranza, sostenuti dalla
certezza che Cristo non abbandona la Chiesa. Quindi, in tutte le cose importanti che
ha contribuito a realizzare, ciò che meno appare di lui è in fondo ciò che fu più
presente nel suo habitus: la consapevolezza del primato della carità. Specialmente,
io vorrei far notare questo: la finezza che si rivelava nel rapporto che aveva con
i vescovi delle Chiese perseguitate, e lui era tutto teso ad operare perché non perdessero
fiducia nelle ragioni del negoziato, e in ogni momento mostrando loro una solidarietà
che arrivava fino alla tenerezza e alla sollecitudine di un padre, al fine di sorreggere
la forza di quelle Chiese a vivere “in spe contra spem” fino al giorno in cui potesse
tornare la libertà.