L'evoluzione dell'architettura sacra dopo la riforma liturgica del Vaticano II al
centro del VI Convegno liturgico aperto nel Monastero di Bose
“Verificare come e in che misura il Concilio Vaticano II è stato in grado di plasmare
gli spazi liturgici”. E’ una delle sfide lanciate dal sesto Convegno liturgico internazionale
promosso dal Monastero di Bose in collaborazione con l’Ufficio nazionale beni culturali
ecclesiastici della CEI. L’incontro terminerà sabato prosimo ed ha per tema l’"Assemblea
santa. Forme, presenze, presidenza”. L’appuntamento si colloca in un ciclo di tavole
rotonde con teologi, liturgisti, architetti e responsabili dell’edilizia per il culto
che ha già analizzato gli elementi di altare, ambone, orientamento e battistero. Oltre
200 i partecipanti provenienti da 18 Paesi. Massimiliano Menichetti ha raccolto
il commento di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che oggi ha aperto
i lavori:
R. -
Questo Convegno tiene conto anzitutto dello spazio liturgico, della forma che gli
è propria, della forma dell’assemblea e quindi, anche della Presenza che si epifanizza
in maniera - direi - molteplice all’interno dell’assemblea, della presenza eucaristica,
della presenza di Cristo attraverso colui che presiede. Dopo il Vaticano II, in una
ecclesiologia di comunione, noi dobbiamo trovare delle espressioni a partire dallo
spazio liturgico e dall’assemblea, in cui siano visibilizzate in modo coerente la
presenza eucaristica e la presidenza.
D. - Lo spazio
architettonico determina dunque anche una idea di chiesa?
R.
- Certo, durante i secoli l’ecclesiologia ha determinato l’architettura delle chiese,
ma l’architettura delle chiese ha informato poi la spiritualità e la consapevolezza
dell’assemblea. Il Concilio di Trento era riuscito a darci - ispirata proprio dalla
sua ecclesiologia - una forma precisa di assemblea e il tutto coerente all’interno
di quella che era stata la riforma cattolica. Oggi, proprio per rispondere all’istanze
del Concilio Vaticano II, dobbiamo riflettere, ripensare la forma dell’assemblea e
poi renderla sempre più coerente con la grande tradizione ecclesiale e con la Parola
di Dio contenuta nelle Scritture.
D. - Come potrebbe
cambiare proprio l’architettura?
R. - Noi crediamo
sia importante riflettere, da un lato, su un orientamento che l’assemblea deve avere
verso il Signore e, dall’altro, che sia un’assemblea la cui forma racconti la comunionalità
tra tutti i membri che in modo diverso, ma specifico, partecipano alla liturgia eucaristica.
Sarà molto importante, da esempio, che l’ambone diventi un elemento non più mobile
come un tempo, ma un elemento fisso, presente in Chiesa assieme all’altare, che precedano
l’assemblea e che non scompaiano dopo che l’assemblea si è sciolta, a testimoniare
e a raccontare che è la Parola di Dio che convoca l’assemblea per la celebrazione
dell’alleanza nel Sacramento dell’Eucaristia e che questo è essenziale al culto cristiano.
D.
- Cambiando l’architettura, cambia in un certo qual modo anche la Liturgia?
R.
- E’ la Liturgia che è cambiata con il Vaticano II e che richiede di conseguenza anche
uno spazio più coerente con essa. Non cambia l’essenza della Liturgia, perchè la Liturgia
cristiana nei secoli non è mai mutata, anche se si è espressa in diversi riti, in
diverse forme. Io credo che vada confessato che, se c’è una coerenza, una non contraddizione
nella tradizione cristiana, essa è soprattutto a livello liturgico.