Benedetto XVI su San Gregorio Magno: insegnò la grandezza dell'umiltà che ogni vescovo
deve testimoniare. Il saluto del Papa alla "Fiaccola della pace" del pellegrinaggio
Macerata-Loreto
Un vescovo, per essere guida di anime e pastore della Chiesa, deve avere come prima
qualità la stessa umiltà di Dio. Gregorio Magno fu l’incarnazione di questa virtù
e perciò è rimasto nella storia come un grande Papa. Lo ha affermato Benedetto XVI
nella seconda catechesi del mercoledì dedicata al celebre Pontefice del sesto secolo.
L’udienza generale, celebrata in Piazza San Pietro, è stata conclusa dal saluto di
Benedetto XVI agli atleti che porteranno la “Fiaccola della pace”, nella 30.ma edizione
del tradizionale pellegrinaggio da Macerata a Loreto, e da un pensiero su Giovanni
XXIII, a 45 anni dalla sua scomparsa. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Fu un
grande Papa perché fu umile: rimase un monaco fin nelle profondità dell’animo, nonostante
la chiamata al soglio di Pietro e nonostante la grande capacità di governo che dimostrò
nel corso del suo ministero pontificio, in tempi non facili per la Chiesa. Fu davvero
in vita ciò che amò fissare in una semplice formula, rimasta poi nei secoli l’attributo
che esprime il dover essere di un Papa: servus servorum Dei, servo dei servi
di Dio. Nella seconda catechesi incentrata su San Gregorio Magno, in particolare sulla
sua densa opera dottrinale, Benedetto XVI ha battuto a più riprese su un aggettivo,
che da Gregorio fu perseguito in ogni sfaccettatura: umiltà nello studiare la Bibbia,
umiltà nello spiegarla ai fedeli, umiltà nell’essere Papa pur nella fermezza che il
ruolo talvolta impone, come ad esempio nella vicenda che lo vide in attrito con il
Patriarca di Costantinopoli:
“Se tuttavia San
Gregorio, nel contesto della sua situazione storica, si oppose al titolo di 'ecumenico'
da parte del Patriarca di Costantinopoli, non lo fece per limitare o negare questa
legittima autorità, ma perché egli era preoccupato dell’unità fraterna della Chiesa
universale. Lo fece soprattutto per la sua profonda convinzione che l’umiltà dovrebbe
essere la virtù fondamentale di ogni Vescovo, ancora più di un Patriarca. (...) Il
suo desiderio veramente fu di vivere da monaco in permanente colloquio con la Parola
di Dio(…) Proprio perché fu questo, egli è grande e mostra anche a noi la misura della
vera grandezza“. Benedetto XVI
ha fatto emergere questa qualità di eccellenza di Gregorio Magno attraverso la presentazione
dei suoi scritti, nei quali fra l’altro - ha sottolineato - non si delinea tanto una
“sua” dottrina, quanto la preoccupazione di “farsi eco” dell’insegnamento della Chiesa.
Anche questo un segno di umiltà, che San Gregorio Magno - “appassionato lettore della
Bibbia” - dimostrò anche nell’accostarsi alla Sacra Scrittura:
“L’umiltà
intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali
partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per
far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente
nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento
interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra
parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione
non conduce all’azione”. “Realizzare
un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno” è - per il Pontefice
del sesto secolo - un “ideale morale” che diverrà, ha affermato Benedetto XVI, “una
specie di Summa” per i cristiani del Medioevo. Così come avrà grande fortuna la “Regola
pastorale” scritta da Gregorio Magno, nella quale viene tratteggiata la figura del
“vescovo ideale”. Un modello che, chiaramente, deve fondarsi su una dote più di altre:
“Egli
afferma che il Vescovo è innanzitutto il 'predicatore' per eccellenza; come tale egli
deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa
costituire un punto di riferimento per tutti (...) Il grande Pontefice, tuttavia,
insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria,
in modo che l’orgoglio non renda vano, dinanzi agli occhi del Giudice supremo, il
bene compiuto. Per questo il capitolo finale della Regola è dedicato all’umiltà”.
Il
3 giugno di 45 anni fa, Roma e il mondo si fermavano commossi per la morte del Beato
Giovanni XXIII. Rivolgendosi ai pellegrini polacchi in Piazza San Pietro, Benedetto
XVI ha voluto ricordarne la figura con queste parole:
“Nazywano
go ‘Jan dobry’... Veniva chiamato dalla gente: ‘Giovanni il buono’ oppure
‘Il buon Papa Giovanni’. Era stato Lui a convocare il Concilio Vaticano II, il quale
iniziò il rinnovamento della Chiesa, la riforma delle Sue strutture e l’aggiornamento
della liturgia. Che questa riforma porti frutti in noi e nella Chiesa del terzo millennio”. Nei
saluti nelle varie lingue, Benedetto XVI si è unito spiritualmente al pellegrini giunti
a Roma per concludere l’anno giubilare dedicato a San Francesco Caracciolo, fondatore
dei Chierici Regolari Minori perché il suo esempio, ha detto, aiuti “rinnovare in
tutti il vivo desiderio di servire Cristo”. Quindi, agli atleti che innalzavano la
“Fiaccola della pace” del prossimo pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto ha
detto:
“Auguro ogni migliore successo alla trentesima
edizione di tale importante iniziativa pastorale”. E
sul significato del pellegrinaggio Macerata-Loreto, che si svolgerà nella notte tra
sabato e domenica prossimi, ascoltiamo il vescovo di Fabriano-Matelica, Giancarlo
Vecèrrica, al microfono di Luca Collodi:
R. –
E’ il pellegrinaggio che vige nella storia della Chiesa: nella tradizione del Popolo
di Dio ha il significato di un cammino del popolo verso una meta.
D.
– Mons. Vecerrica, come nasce l’esperienza del pellegrinaggio a piedi da Macerata
a Loreto?
R. – E’ nato mentre insegnavo religione
al Liceo Classico di Macerata, perchè vedevo i ragazzi molto impegnati nell’ora di
religione, che si aprivano al senso della vita così come è proposto dal Vangelo. Avevo
allora desiderio che le vacanze fossero segnate da un avvenimento che li coinvolgesse
in modo da tenere viva la presenza cristiana come determinante la vita. E’ venuto
l’impegno di risuscitare una tradizione popolare marchigiana che prevedeva che al
termine di ogni inziativa si andasse a piedi al Santuario di Loreto: così nel giugno
1978, per la prima volta, ho proposto ai miei studenti e ad altri della città e della
regione questo cammino.