Non dimenticare i cristiani dell’Iraq: l’appello dell’arcivescovo di Kirkuk, Louis
Sako, ad un anno dall’uccisione di padre Ghanni e di tre subdiaconi caldei
Non dimenticare i cristiani iracheni: nel primo anniversario della morte di padre
Ragheed Aziz Ghanni e di tre subdiaconi della Chiesa caldea, l’arcivescovo di Kirkuk,
Louis Sako,chiede una maggiore attenzione per il dramma dei cristiani dell’Iraq,
costretti a vivere nell’insicurezza o a fuggire dalla propria terra. “Un assassinio
senza senso”: così, Benedetto XVI definiva l’uccisione di padre Ghanni e dei suoi
subdiaconi il giorno dopo il tragico episodio. Il rammarico del Papa era espresso
in un telegramma a mons. Paul Faraj Rahho, arcivescovo di Mossul, che pochi mesi dopo
veniva rapito da un gruppo armato. Una vicenda conclusasi drammaticamente con il ritrovamento
del corpo del presule il 13 marzo scorso. Intervistato da Alessandro Gisotti,
mons. Louis Sako si sofferma sui frutti che possono nascere dalla testimonianza
eroica della Chiesa irachena:
R. -
Abbiamo bisogno della pace e della riconciliazione. E’ questo quello che noi ci aspettiamo
da questo sacrificio. Ho conosciuto molto bene padre Ragheed, era mio alunno quando
studiava a Mossul. Anche i suoi amici e lo stesso vescovo di Mossul ci danno una grande
speranza e una grande consolazione. E’ una morte da martiri, perchè per noi sono martiri.
D.
- Come vive oggi la comunità cristiana irachena? Sono tante le difficoltà…
R.
- Non è certo una vita normale, perchè ci sono tanti pericoli e tanti problemi. Ma,
nonostante tutto, noi abbiamo tanta fiducia e tanta speranza nel Signore.
D.
- Tantissimi sono i cristiani che, purtroppo, sono stati costretti a rifugiarsi nei
Paesi vicini, in Siria e in Giordania. Ma c’è una speranza che ritornino?
R.
- Questa emigrazione forzata è una vera tragedia. Quando i cristiani ci lasciano,
noi diventiamo sempre più deboli e sempre più minoranza. Per far tornare i profughi,
è necessario da parte della Chiesa locale, sia in Iraq che nei Paesi vicini, una pastorale
adatta che possa veramente aiutare i cristiani, le famiglie, a ritornare. E questo
perchè lì c’è tutta la loro storia, tutta la memoria della Chiesa e tutto il patrimonio
cristiano. Direi che ora si potrebbe aiutarli a ritornare verso il nord, in questi
villaggi cristiani, dove c’è maggiore sicurezza, cercando magari di creare dei piccoli
progetti per farli lavorare. Credo che questo sia possibile, altrimenti rappresenterebbe
una grande perdita per noi, ma anche per i nostri musulmani, vista tra l’altro la
nostra apertura, anche morale, e la nostra testimonianza cristiana.
D.
- Lei ha rinnovato un appello affinché i cristiani dell’Iraq non vengano dimenticati…
R.
- Sì, con tutto il cuore. Questo è un dovere, sia da parte della Chiesa che da parte
dei governi, per cercare di aiutare le minoranze a rimanere e a tutelare il loro patrimonio
religioso, etnico, culturale e sociale. Tutto questo rappresenta una ricchezza.