La diocesi di Jerez de la Frontera, in Spagna, celebra il suo patrono San Giovanni
Grande
Viene esposta oggi a Jerez de la Frontera, in Spagna, nell’Andalusia, al Santuario
di San Giovanni Grande, la reliquia recentemente analizzata del religioso dei Fatebenefratelli
vissuto nel XVI secolo e morto il 3 giugno del 1600. Una solenne celebrazione è in
programma alle 19. Canonizzato da Giovanni Paolo II il 2 giugno 1996, il frate dell’Ordine
di San Giovanni di Dio, patrono della diocesi di Jerez de la Frontera, viene ricordato
ogni anno con un triduo. Del santo si conservano le spoglie in un’urna, ma la reliquia
– l’omero sinistro – che oggi viene mostrata ai fedeli era stata conservata senza
certificato di autenticità. Studiata dal prof. Miguel Cecilio Botella, docente di
antropologia dell’università di Granada, nel laboratorio della facoltà di medicina
della stessa università, è stata identificata dopo una serie di analisi che ne hanno
accertato l’autenticità e il 15 maggio dello scorso anno, mons. Jaun del Río Martín,
vescovo di Jerez de la Frontera, ne ha autorizzato l’esposizione alla venerazione
dei fedeli. La reliquia è stata donata da Donna Carmen Romero ai religiosi di San
Giovanni di Dio. Si trovava nella Cappella delle Reliquie della Certosa a 5 chilometri
da Jerez e da lì era stata portata via nel 1810. San Giovanni Grande è nato a Carmona,
presso Siviglia, il 6 marzo 1546. Da giovane, dopo una breve esperienza eremitica
durante la quale maturò la decisione di dedicarsi al servizio del prossimo, decise
di trasferirsi a Jerez e cominciò con l’assistenza ai carcerati. Presto focalizzò
il suo interesse nel settore sanitario e gli venne affidata un’infermeria per i malati
rifiutati dagli ospedali. Gli si affiancarono dei discepoli e intorno al 1574 decise
di fondere il suo gruppo con quello sorto a Granada per iniziativa di San Giovanni
di Dio. Vestito l’abito dei Fatebenefratelli, continuò a prodigarsi nella andalusa
Jerez de la Frontera, dove nel 1589 ebbe anche l’incarico dalle autorità locali di
riorganizzare l’intera rete ospedaliera della città dove morì contagiato dalla peste
curando i malati. “Adoratore assiduo di Dio, Uno e Trino, rivelato da Gesù Cristo
- ha detto Giovanni Paolo II il giorno della sua canonizzazione - parlava del mistero
trinitario con una elevazione e una devozione tali da provocare ammirazione in quanti
lo ascoltavano e si sentivano chiamati a venerare e a contemplare con maggiore fede
un così augusto mistero, rendendo a Dio la gloria e l’onore dovuti”. Alimentava la
sua spiritualità nella pratica costante della preghiera, ha ricordato il Pontefice
nella sua omelia, una preghiera affettiva, con la quale esprimeva il suo amore verso
Dio senza stancarsi di ripetergli quanto lo amava. (T.C.)