Il plauso della Santa Sede alla messa al bando delle bombe a grappolo
Sono di segno diverso le reazioni all’approvazione della convenzione internazionale
per la messa a bando delle bombe a grappolo, approvata ieri a Dublino da 111 Paesi.
Un trattato, che verrà ufficialmente firmato a novembre ad Oslo, che prevede la distruzione
e la fine dell’utilizzo delle “cluster bombs” da parte dei firmatari entro otto anni.
Soddisfazione è stata espressa dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, mentre
gli Stati Uniti, che insieme a Israele, Russia, Cina, India e Pakistan non hanno partecipato
al negoziato, hanno ribadito l’utilità militare delle bombe a grappolo. Alla Conferenza
di Dublino ha partecipato anche una delegazione vaticana guidata dall’arcivescovo
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
ONU di Ginevra. Fabio Colagrande gli ha chiesto come considera l’accordo raggiunto
a Dublino:
R.
– E’ stato un passo enorme, in breve tempo si è arrivati a concludere una nuova convenzione,
che apre un capitolo nuovo nel diritto umanitario, ma soprattutto mette al bando tutti
gli ordigni, tutte le bombe a grappolo che sono state usate sinora nelle varie guerre,
e in più condiziona il trasporto, la costruzione di nuove bombe e anche la nuova tecnologia,
che può essere adattata a questi ordigni.
D. – Lei
come rappresentante della Santa Sede si è molto impegnato per l’approvazione di questa
convenzione. Il Papa aveva auspicato che a Dublino si giungesse ad attuare uno strumento
internazionale forte e credibile. Ecco, è un auspicio soddisfatto quello del Papa?
R.
– La delegazione della Santa Sede ha giocato un ruolo chiave, nel senso che è stata
un poco il ponte tra vari gruppi e varie istituzioni di Stati, portando ad una convinzione
positiva per un documento, uno strumento che sia, come il Papa ha detto, forte e credibile.
Ed è esattamente così.
D. – Mons. Tomasi, come commenta
la mancata adesione di nazioni geopoliticamente importanti, produttrici e utilizzatrici
di questi ordigni?
R. – Erano presenti a questa conferenza
diplomatica 111 Paesi come membri e 20 come osservatori. Per cui più di 130 Paesi
si sono alla fine impegnati applaudendo con grande entusiasmo all’approvazione di
questo strumento. La comunità internazionale è abbastanza compatta su questa visione
di mettere fine a una pagina di crudeltà, direi, nell’uso di questi ordigni, che vanno
indiscriminatamente a colpire le popolazioni civili. Certo, la mancanza di Paesi come
la Cina, gli Stati Uniti, la Russia e il Brasile ha fatto riflettere che il cammino
per completare il lavoro è ancora lungo. Adesso, però, quello che era per molti di
noi inaccettabile dal punto di vista etico, è diventato anche illegale dal punto di
vista del diritto internazionale. Perciò abbiamo fiducia che questa pressione e questa
volontà chiara della comunità internazionale avrà un peso anche nelle decisioni e
considerazioni dei Paesi che non erano presenti.
D.
– Mons. Tomasi, si sottolinea spesso che questo tipo di impegno per il disarmo si
scontra contro logiche industriali e produttive molto importanti, sulle quali si reggono
le economie di interi Paesi. Cosa dire?
R. – Anzitutto,
direi che questo tipo di convenzione è come quella contro le mine antipersona di Ottawa.
Sono dei passi molto importanti per dire alla comunità internazionale che con la buona
volontà e un negoziato paziente è possibile andare avanti nella questione generale
del disarmo, anche se le strutture delle Nazioni Unite, in questo momento, sembrano
essere in una condizione di stallo, per quanto riguarda la non proliferazione soprattutto
delle armi atomiche. Dobbiamo continuare a lottare per dare sicurezza al nostro mondo.
Quindi, bisogna lavorare per trasformare le risorse umane e materiali che si investono
nel campo militare – basti pensare che l’anno scorso sono stati investiti 1200 miliardi
di dollari solo negli armamenti – usare tutte queste risorse per metterle al servizio
delle opere di pace e di sviluppo, specialmente per i Paesi più poveri.
D.
– Quindi, la speranza è che in futuro la sicurezza non sia basata sulle armi e sull’uso
della forza?
R. – Dobbiamo allargare il concetto
di sicurezza. Nella Dottrina sociale della Chiesa la sicurezza non viene dalle armi,
ma viene da uno sviluppo omogeneo integrale delle società. Quindi, si assicura la
pace attraverso la giustizia, attraverso la distribuzione dei beni di questo mondo
in maniera più equa, cercando di rendere la globalizzazione in corso un meccanismo
che porti benessere non solo ad alcuni, ma a tutti.