Il dialogo ecumenico al centro della visita del cardinale segretario di Stato, Tarcisio
Bertone, in Ucraina. Intervista al porporato
L’Ucraina è un crocevia tra le culture d’Oriente e d’Occidente e può svolgere un ruolo
importante nell’Unione Europea alla quale ha bussato. Ne è convinto il cardinale
Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, che al termine di un viaggio di
quattro giorni (23-26 maggio) a Leopoli e Kiev, dove ha incontrato pure il presidente
Yushenko e il vice primo ministro Nemyria, sottolinea anche il carattere di laboratorio
ecumenico dell’Ucraina. In un primo bilancio della visita tracciato nell’intervista
all’Osservatore Romano, alla Radio Vaticana ed al Centro Televisivo Vaticano, il segretario
di Stato ricorda che l’occasione della visita è stata la Beatificazione della Serva
di Dio, suor Marta Wieska, una figura di donna morta giovane per un gesto eroico di
carità e divenuta punto di riferimento comune per cattolici, ortodossi e non credenti.
Non basta più identificare l’Ucraina con la tragedia di Chernobyl - sostiene Bertone
- ma occorre conoscere la grande ricchezza della tradizione culturale e cristiana
dell’Ucraina “che si affaccia alle porte dell’Europa con una sua dignità e con delle
risorse che tutti dobbiamo valorizzare”. Terra di contrasti nel passato tra cattolici
e ortodossi, ora l’Ucraina può divenire una regione che facilita il dialogo con il
Patriarcato di Mosca tuttora aperto e in crescita. “E’ chiaro – dice il cardinale
– che tutti aspettano il famoso incontro tra il papa e il Patriarca di Mosca che avverrà
quando Dio vorrà e quando ci saranno tutte le condizioni”. Frattanto una commissione
mista tra Ucraina e Santa Sede aprirà gli archivi segreti vaticani per saperne di
più sull’Holodomor, la terribile carestia indotta negli anni trenta in Ucraina dalle
autorità sovietiche, causa di migliaia di morti. Carlo Di Cicco, vicedirettore
dell'Osservatore Romano, e Roberto Piermarini responsabile dei Servizi informativi
della nostra emittente, hanno chiesto al cardinale Bertone perchè nel corso della
sua visita ha definito l'Ucraina "terra di mezzo" tra l'Europa occidentale e l'Europa
orientale: R.
- Perché, in realtà, l’Ucraina può svolgere un ruolo importante essendo un punto d’incontro,
un crocevia tra le culture dell’Oriente e dell’Occidente. La Chiesa, per riprendere
le famose parole di Giovanni Paolo II - ma non solo la Chiesa, anche l’Europa - deve
respirare a due polmoni: Oriente e Occidente. Proprio quest’anno, ricorre il 1020°
anniversario della prima evangelizzazione della Rus di Kiev che, partita dall’Ucraina,
è andata verso l’Oriente e ha messo le basi di quelle radici cristiane che sono l’humus
che fa unità tra i popoli dell’Oriente e dell’Occidente. Radici cristiane che sono
state riprese, ribadite non solo a livello di gerarchia delle varie Chiese, ma anche
a livello e nella coscienza di identità propria delle autorità dell’Ucraina.
D.
- Esiste una sufficiente conoscenza reciproca tra i cattolici dell’Ucraina e i cattolici
dell’Europa occidentale?
R. - Questo è un problema
reale. Le persone di una certa età ricordano bene l’epopea del famoso cardinale Slipyj,
che fu un grande testimone della fede dell’Ucraina. Almeno certi episodi della storia
religiosa, della inconcussa fedeltà del popolo ucraino alla fede cristiana, e in particolare
alla Chiesa cattolica, sono presenti nella memoria di tante persone. Adesso, non so
se c’è una vera conoscenza. Forse, c’è anche memoria della famosa carestia degli anni
1932-33, che storicamente qualcuno spiega come un atto di punizione per la popolazione
ucraina e per altre popolazioni. Anche questa memoria è entrata nei libri di storia.
Auspico che le Chiese e le società occidentali conoscano meglio questa storia. Si
diceva una volta che l’Ucraina fosse il granaio dell’Europa; si parlava delle immensità
delle sue pianure e delle sue colture. Poi, c’è stato il fatto di Chernobyl. Non bisogna,
tuttavia, conoscere l’Ucraina solo per questo singolo episodio, ma proprio per la
sua dignità: il profilo di popolo che ha una grande cultura, rimasto fedele ai valori
cristiani forse più di altri popoli e che adesso si affaccia alle porte dell’Europa
con una sua dignità e con delle risorse che tutti dobbiamo valorizzare.
D.
- Nei suoi discorsi ha richiamato sovente la testimonianza dei martiri additandola
ai cristiani di oggi. Ci sono motivi di preoccupazione pastorale per questo richiamo
insistente?
R. - Anzitutto, c’è un motivo storico.
Anche in Ucraina, come in molti altri Paesi dell’Unione Sovietica, ci sono stati martiri
della fede, i famosi martiri del XX secolo, cattolici e ortodossi. In Ucraina, c’è
stato un tentativo di annientamento delle Chiese, soprattutto della Chiesa greco-cattolica,
mentre la Chiesa latina, pur nelle immani sofferenze che hanno segnato quegli anni
sotto la dittatura comunista, ha avuto dei barlumi di libertà e quindi di esercizio
del ministero e di espressione della fede cristiana. E poi, in modo particolare bisogna
ravvivare la memoria per l’oggi, perché allora c’era una persecuzione aperta, adesso
c’è un attacco sottile, un attacco dell’indifferentismo e del consumismo. E’ caduto
il Muro di Berlino, è caduto l’impero comunista però ci sono altri problemi che sfidano
la fede, che esigono un coraggio, un impegno ancora maggiore - forse - nella testimonianza
della fede cristiana, e nel fare esperienza vera di vita cristiana.
D.
- Nel corso del suo viaggio lei ha insistito molto anche sull’impegno ecumenico. Parlava
ai cattolici o agli ortodossi?
R. - Anzitutto ai
cattolici, perché naturalmente mi sono rivolto ai cattolici, sebbene abbia incontrato
autorità e rappresentanti ortodossi anche alle manifestazioni della Chiesa cattolica.
E’ un discorso che vale per tutti, perché lo sforzo di creare unità, di fare piattaforma
di unità, di convergere su obiettivi comuni proprio in base alla fede comune, è un
presupposto indispensabile per la nuova evangelizzazione e per l’efficacia della testimonianza
di tutte le Chiese, di tutte le confessioni cristiane. Nelle loro diversità, ma nell’unità
della medesima fede in Cristo.
D. - Ha riscontrato
motivi di fiducia e segnali per una presenza più unitaria e meno conflittuale sul
piano religioso e civile, tra cattolici e ortodossi?
R.
- Devo dire che ho incontrato una Chiesa viva - parlo in modo speciale della Chiesa
cattolica nelle sue varie componenti - una Chiesa perfino entusiasta e partecipe.
Mi hanno detto anche le autorità che lì, in Ucraina, le Chiese sono piene. Penso sia
vero, avendolo sperimentato negli incontri che ho avuto, sia in occasione della festa
del Corpo e Sangue di Cristo, con la processione lungo le vie di Kiev, sia nella grande
beatificazione di suor Marta Wiecka, a cui guardano non solo i cattolici. Quella testimone
della carità sociale eroica è un punto d’incontro di cattolici e ortodossi e anche
di non credenti. Già questo segno è un segno di unità, un segno di identità comune.
Ho trovato, quindi, dei segni positivi. Ho trovato anche segni anche di dialogo, segni
di adesione al cuore della Chiesa cattolica, cioè al Papa, in particolare a Papa Benedetto
XVI, e negli incontri con gli esponenti soprattutto della Chiesa ortodossa russa -
perché ho incontrato il metropolita Volodimir - ho sentito questo anelito all’unità.
Tutti hanno parlato della necessità di fare dei passi concreti comuni. Nonostante
le difficoltà che persistono ancora, ci sono passi positivi di dialogo interconfessionale
per convergere su alcuni temi. Pensiamo, ad esempio, al tema dell’educazione, della
formazione. Abbiamo parlato persino del tema della santità, con il metropolita ortodosso,
e mi hanno interrogato sui percorsi che la Chiesa cattolica fissa per proclamare un
beato o un santo, confrontandoli con i percorsi della Chiesa ortodossa. Ecco: sono
temi che indicano una sorta di convergenza, di desiderio di condividere certe metodologie
e poi anche le mete finali.
D. - Una buona armonia
tra i cristiani in Ucraina, superando il contenzioso storico, può facilitare il dialogo
in corso tra Roma e Mosca?
R. - Con la Chiesa ortodossa
russa, con il Patriarcato di Mosca, noi siamo certamente in fase di dialogo. Avevo
avuto incontri con la Chiesa ortodossa russa già in Azerbaigian e così adesso li ho
avuti a Kiev. Questi sono segni positivi. Mi sembra che siamo in una fase di dialogo
aperto, di incontri che si rinnovano: proprio nei giorni scorsi, il cardinale Kasper
è stato a Mosca nella sua qualità di Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani. E’ chiaro che tutti aspettano il famoso incontro tra il
Papa e il Patriarca di Mosca che avverrà quando Dio vorrà e quando ci saranno tutte
le condizioni. Alcuni esponenti ortodossi di varie parti dell’Europa spingono per
questo incontro, esplicitamente. Ci sono stati dei fatti positivi – a parte la traduzione
organica dei documenti del Concilio Vaticano II in russo e la distribuzione di questi
documenti, che permettono di conoscere il pensiero della Chiesa cattolica, sia in
campo dogmatico sia in campo morale: non solo in campo di morale personale, ma di
morale sociale, di morale internazionale. Pure la traduzione del Catechismo della
Chiesa cattolica in russo, con una specie di accordo con la Chiesa ortodossa, e poi,
ultimamente, proprio, la traduzione del Compendio della dottrina sociale cristiana
in ucraino e in russo. Questo è un fatto positivo che permette di avvicinare le due
Chiese in maniera culturale pacificamente, in modo cristallino, cioè direttamente;
e quindi, di conoscersi e di condividere. Sappiamo anche che la Chiesa ortodossa russa
sta elaborando una sua dottrina sociale. D. - Ci sono risultati
concreti dal suo incontro con il presidente Viktor Yushenko e con il vice-primo ministro
Gregory Nemyria?
R. - Il viaggio in Ucraina è stato
organizzato in modo speciale per la beatificazione di suor Marta Wiecka, che è amata
e venerata da tutti, ricordata anche dalle autorità. Tanto è vero che alla beatificazione
c’erano le autorità di Leopoli e i delegati delle varie istanze pubbliche. Come ho
già detto, la figura di suor Marta è una figura che attrae e che unifica. Ho avuto
degli incontri - lunghi incontri - sia con il presidente della Repubblica e sia con
il vice-primo ministro. Ho sottolineato anche nei discorsi pubblici e a nome della
Santa Sede la positività degli sforzi compiuti dal governo, dalle autorità ucraine,
per la crescita della democrazia nei vari ambiti e per la volontà di riconoscere i
diritti umani, riconoscere la libertà religiosa, l’uguaglianza delle confessioni cristiane;
per la promozione di una politica a favore della famiglia. Naturalmente, ho ripetuto
che la Santa Sede non è una potenza politica, non agisce come una potenza politica:
agisce con la sua missione spirituale, con la sua autorità morale. Quindi, anche nello
specifico problema di essere eventualmente integrata nell’Unione Europea si tratterà
di verificare gli adempimenti delle condizioni poste dall’Europa. Però, mi sembra
che nella comunità internazionale l’Ucraina occupi un buon posto e prova ne è, ultimamente,
che sia stata eletta nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. E questo,
naturalmente, non è solo un riconoscimento all’Ucraina, ma la investe pure di una
responsabilità, perché la prima verifica sulla promozione e sull’osservanza dei diritti
umani, la prima carta di credito deve venire proprio dal comportamento del governo
dell’Ucraina stessa, di fronte alla comunità internazionale.
D.
- Proprio in questo contesto, dall’Osservatorio Ucraina, quale sensazione le ha fatto
il considerare le misure che i vari Paesi dell’Unione Europea stanno prendendo nei
confronti degli immigrati, anche dell’Europa Orientale?
R.
- Ho accennato nei miei incontri al problema dell’immigrazione. Mi è stata posta
anche qualche domanda, perché in Europa, compresa l’Italia, ci sono molti immigrati
ucraini e molte aziende estere, in particolare italiane, operano in Ucraina. Proprio
la sera prima della partenza ho avuto una cena con molti ambasciatori e con una parte
del corpo diplomatico. L’ambasciatore italiano a Kiev ha parlato molto positivamente
dei lavoratori ucraini e dell’esperienza delle aziende e delle ditte italiane che
operano in Ucraina. Io stesso ho avuto una buona esperienza a Genova dove risiede
una forte comunità ucraina e noi abbiamo dato una parrocchia alla loro comunità e
al loro parroco. La comunità ucraina si è inserita abbastanza positivamente nel tessuto
sociale, senza porre i problemi che altri gruppi, che altre comunità di altra provenienza,
hanno posto. Bisogna valutare bene gruppo per gruppo, vedere chi viene per lavoro,
chi viene con volontà di lavoro, chi viene con un senso di identità culturale e religiosa,
che sostiene questi immigrati, queste comunità anche nell’espatrio, nel trapianto
in un’altra cultura, in un’altra nazione. Direi che gli ucraini si sono inseriti abbastanza
positivamente. Il giudizio sull’immigrazione ucraina è abbastanza positivo, almeno
a quanto ho sentito io stesso. Naturalmente, abbiamo parlato anche del problema di
sostenere culturalmente, nella formazione, nell’educazione, le comunità, i figli e
le nuove generazioni. Abbiamo parlato dell’Università cattolica di Leopoli in Ucraina
con le autorità governative, che riconoscono il ruolo formativo della Chiesa cattolica
e delle istituzioni ecclesiastiche e lo apprezzano molto. A Kiev c’è un Istituto superiore
di studi religiosi, il San Tommaso, che è frequentato da molti giovani cattolici,
ortodossi e anche non credenti che però sono in ricerca. E questo è un fatto positivo:
che le autorità riconoscano la funzione di questi istituti superiori di formazione,
di cultura, e vogliano anche sostenerli.
D. - Lei
ha trovato tracce, nei colloqui avuti, del ricordo della tragedia della carestia e
della fame che nel 1932-33 decimò la popolazione ucraina?
R.
- La tragedia dell’Holodomor, come viene chiamata la terribile carestia, è un problema
molto sentito dal popolo ucraino e dalle autorità, in modo particolare, perché come
sappiamo negli anni ’32 e ’33 ci fu la terribile carestia che colpì l’Ucraina sovietica
e causò la morte di milioni e milioni di persone. Secondo diversi storici e nella
convinzione del governo ucraino, la carestia è stata causata intenzionalmente proprio
per decimare la popolazione ucraina. Adesso, le istanze culturali, il governo ucraino,
lo stesso presidente, chiedono di poter investigare, magari organizzando delle commissioni
di ricercatori per analizzare la documentazione esistente su questo fatto e anche
sull’aiuto che ha tentato di dare la Chiesa cattolica, la Santa Sede, in questa occasione.
Naturalmente, non si tratta solo di questo problema. Gli studi e la condivisione di
ricerche storiche toccherebbero anche tutta la storia dell’Ucraina, come si è soliti
fare anche nella ricostruzione della memoria di tutti gli Stati che in qualche modo
hanno avuto un rapporto con la Santa Sede e, in modo particolare, con i Papi.