Nell’indicare in Dio la vera sorgente della speranza e della pace, Gregorio Magno
è una guida anche per il nostro tempo: così, Benedetto XVI all’udienza generale dedicata
al grande Papa e dottore della Chiesa
“Un grande Papa e un grande Dottore della Chiesa”: Benedetto XVI ha introdotto così
la figura di San Gregorio Magno, vescovo di Roma tra il 590 e il 604, a cui ha dedicato
la catechesi dell’udienza generale. Alle migliaia di fedeli convenuti in Piazza San
Pietro, il Papa ha sottolineato l’attualità degli insegnamenti di San Gregorio, pastore
coraggioso e saggio, vero pacificatore, attento ai bisogni dei fedeli. Il servizio
di Alessandro Gisotti:
“Un uomo
immerso in Dio” e proprio per questo sempre “vicino al prossimo, a tutti i bisogni
della gente del suo tempo”. Benedetto XVI ha sintetizzato così la figura straordinaria
del suo predecessore Gregorio Magno. Un uomo, ha ricordato a braccio il Papa, che
parlava spesso del desiderio di Dio. Un desiderio di Dio che “era sempre vivo nel
fondo della sua anima”. Quindi, ha messo l’accento sull’attualità dell’esempio di
San Gregorio:
“Lui realmente, in un tempo disastroso,
anzi disperato, ha saputo creare pace e dare speranza. Questo uomo di Dio, quindi,
ci mostra dove sono le vere sorgenti della pace, da dove viene la vera speranza e
quindi è una guida anche per noi, nel nostro tempo di oggi”. Gregorio,
ha ricordato il Papa, nacque a Roma, intorno al 540, da una ricca famiglia patrizia
della gens Anicia, che si distingueva per “l’attaccamento alla fede e per i servizi
resi alla Sede Apostolica”. Ad ispirargli alti sentimenti cristiani, furono proprio
gli esempi dei genitori Giordiano e Silvia, ambedue venerati come Santi. Gregorio,
ha rammentato, entrò presto nella carriera amministrativa fino a divenire prefetto
della città di Roma. Si applicò dunque ad ogni genere di problemi amministrativi,
“traendone lumi per i futuri compiti”. Di questa esperienza, ha costatato, gli rimase
“un profondo senso dell’ordine e della disciplina”:
“Divenuto
Papa, suggerirà ai vescovi di prendere a modello nella gestione degli affari ecclesiastici
la diligenza e il rispetto delle leggi proprie dei funzionari civili”. Questa
vita, però, ha proseguito, non lo soddisfaceva. Presto, Gregorio decise di intraprendere
la vita di monaco. Un periodo in cui “acquisirà una profonda conoscenza della Sacra
Scrittura” e di cui gli resterà una perenne nostalgia. Un “tempo di felice raccoglimento
in Dio, di dedizione alla preghiera, di serena immersione nello studio”. Anche il
ritiro claustrale di Gregorio non dura a lungo, giacché Papa Pelagio lo nomina ambasciatore
a Costantinopoli per favorire “il superamento degli ultimi strascichi della controversia
monofisita e, soprattutto, per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di
contenere la pressione longobarda”. Dopo alcuni anni viene però richiamato a Roma.
Sono anni terribili per l’Urbe afflitta dalla carestia e infine anche dalla peste
che fa numerose vittime, tra cui Papa Pelagio II. Il clero e il popolo fu unanime
nello scegliere Gregorio come suo Successore. Egli cercò di resistere, “tentando anche
la fuga, ma alla fine dovette cedere”. Era l’anno 590. Il nuovo Pontefice si mise
subito con lena al lavoro:
“Fin dall’inizio rivelò
una visione singolarmente lucida della realtà con cui doveva misurarsi, una straordinaria
capacità di lavoro nell’affrontare gli affari tanto ecclesiastici quanto civili, un
costante equilibrio nelle decisioni coraggiose che l’ufficio gli imponeva”. Del
suo governo, ha spiegato il Papa, resta un’ampia documentazione grazie al Registro
delle sue Lettere, nelle quali “si riflette il quotidiano confronto con i complessi
interrogativi che affluivano sul suo tavolo”. Il problema più pressante allora in
Italia e Roma era la questione longobarda, a cui, ha detto, Gregorio dedica ogni energia
possibile. Gregorio Magno, ha notato il Papa, fu “un vero pacificatore”:
“A
differenza dell’imperatore bizantino che partiva dal presupposto che i Longobardi
fossero soltanto individui rozzi e predatori da sconfiggere o sterminare, egli vedeva
questa gente con gli occhi del buon pastore preoccupato di annunciare loro la parola
di salvezza, stabilendo con essi rapporti di fraternità”. Papa
Gregorio intraprese una serrata trattativa col re longobardo Agilulfo, che portò ad
uno stabile armistizio. Un risultato positivo grazie anche ai contatti che Gregorio
Magno intratteneva con la regina Teodolinda, bavarese e cattolica. Una vicenda, ha
rilevato il Papa, che rappresenta un capitolo importante del ruolo delle donne nella
storia della Chiesa. Accanto a quest’opera diplomatica volta alla pace e all’azione
evangelizzatrice tra i Longobardi, ha detto ancora, Gregorio fu “attivo protagonista”
di una “multiforme attività sociale”: soccorse chi era nel bisogno, aiutò i religiosi
indigenti, pagò i riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi:
“Inoltre,
svolse sia a Roma che in altri parti d’Italia un’attenta opera di riordino amministrativo,
impartendo precise istruzioni affinché i beni della Chiesa, utili alla sua sussistenza
e alla sua opera evangelizzatrice nel mondo, fossero gestiti con assoluta rettitudine
e secondo le regole della giustizia e e della misericordia”. Questa
intensa attività, ha aggiunto, Gregorio la svolse nonostante la malferma salute e
spesso, a causa della flebile voce, le sue omelie venivano pronunciate da un diacono.
Una vicenda, accompagnata da una simpatica considerazione:
“Grazie
a Dio oggi abbiamo a disposizione il microfono!”. Al
momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero speciale alle Maestre
Pie Filippini, presenti in Piazza, esortandole ad affrontare “l’emergenza educativa
nella città di Roma, cuore della cristianità”. Quindi, in prossimità della fine del
mese mariano di maggio, ha invocato Maria affinché ci aiuti a "percorrere con gioia
e speranza il nostro quotidiano pellegrinaggio verso la Patria eterna”. A margine
dell'udienza, il Papa ha ricevuto due omaggi da due porporati: il cardinale Angelo
Comastri ha donato al Santo Padre una preziosa pubblicazione del Capitolo di San Pietro.
Dal canto suo, il cardinale Crescenzio Sepe ha regalato al Papa il suo ultimo libro
"Non rubate la speranza".