Amnesty International, nel suo Rapporto annuale sui diritti umani, pungola le grandi
potenze
61 sono i Paesi dove è ancora presente la tortura, 54 quelli dove si celebrano processi
iniqui, in 77 non è consentita la libera espressione delle proprie idee. Nel 60.mo
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, Amnesty International,
presentando il suo annuale rapporto, chiede ai governi delle grandi potenze di agire
subito, perché la lotta per il rispetto dei diritti umani è ancora tutta da portare
avanti. Servizio di Francesca Sabatinelli.
A 60
anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, i leader mondiali chiedano
scusa per aver fallito e si impegnino in iniziative concrete per tutelarli e farli
rispettare in ogni parte del mondo. Amnesty International punta l’indice sulle grandi
potenze, questo primo decennio del XXI secolo purtroppo sta dimostrando ancora una
volta l’impotenza e la riluttanza dei governi occidentali di fronte alle peggiori
crisi dei diritti umani, come quelle in Darfur, Zimbabwe, Gaza, Iraq, Afghanistan
e Myanmar. Oggi, ricorda Amnesty, il più violato è proprio l’articolo 1 della Dichiarazione:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. I diritti
umani non sono una categoria astratta, spiega il presidente di Amnesty Italia Paolo
Pobbiati, occorre esortare le maggiori potenze a dare l’esempio. Ascoltiamolo:
“Chiamiamo in causa gli attori che hanno maggior peso. Gli Stati Uniti
hanno delle responsabilità importanti perché sono quelli che hanno condotto la guerra
al terrore. Nell’Unione Europea, che nelle sue dichiarazioni si definisce portabandiera
dei principi dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, i suoi Stati
però oggi, piano piano, stanno tornando indietro, stanno annacquando pesantemente
i principi fondamentali, soprattutto in tema di discriminazione, di guerra al terrore,
di diritti dei rifugiati e dei migranti”.
Il 2008, spiega ancora Pobbiati,
può segnare la svolta, per le nuove leadership al potere e per le potenze emergenti.
Si presenta un’occasione senza precedenti di indicare una nuova direzione e rigettare
le politiche che negli ultimi anni hanno reso il mondo un luogo sempre più pericoloso
e diviso, un esempio che può partire dagli Stati Uniti:
“Ci auguriamo
che la prossima amministrazione faccia dei passi fondamentali: chiuda Guantanamo,
per esempio, e gli altri luoghi segreti dove vengono detenute persone sospettate di
terrorismo, e chiediamo che le persone che sono detenute in questi posti siano o rilasciate
oppure portate davanti ad un tribunale federale. Chiediamo che la lotta contro il
terrore venga ricondotta in termini di legalità e di giustizia. Per quanto riguarda
la Russia e il nuovo presidente Medvedev, ci auguriamo abbia un approccio nei confronti
dei diritti umani diverso da quello portato avanti sinora, anche a maggior ragione
per l’importanza crescente di questo Paese. Poi, ci sono le Olimpiadi nel 2008, questo
evento straordinario per la Cina, Paese che sta vivendo dei cambiamenti fondamentali,
che ci auguriamo possano portare anche ad un miglioramento del curriculum della Cina,
in termini di diritti umani”.
Per quanto riguarda l’Italia, Amnesty
esprime i suoi forti timori per il clima di razzismo e xenofobia, e per le leggi o
proposte di legge contrarie agli standard internazionali sui diritti umani che potrebbero
trasformarla in un Paese pericoloso. Accanto alle delusioni, Amnesty non manca però
di segnalare anche i risultati raggiunti nel 2007, come l’approvazione da parte dell’Onu,
dopo oltre venti anni di dibattito, della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni,
ma soprattutto l’approvazione di una moratoria universale sulla pena di morte.