Sui bambini rapiti nella guerra civile in Salvador un incontro organizzato dal mensile
"Popoli"
Il dramma dei bambini desaparecidos al centro di un recente incontro organizzato dal
mensile internazionale dei gesuiti “Popoli”, consultabile anche sul sito Internet
www.popoli.info Il fenomeno, molto noto per quanto riguarda l’Argentina, durante
gli anni della guerra civile ha colpito anche il Salvador, come spiega al microfono
di Virginia Volpe, il direttore di “Popoli” Stefano Femminis:
R. –
Il Salvador, che è un Paese molto piccolo, negli anni Settanta, durante la Guerra
Fredda, era un po’ una frontiera tra due blocchi. In quel piccolo Paese si combatté
una guerra civile molto sanguinosa, dove ci furono tantissime sparizioni: circa 5
mila ufficialmente, ma alcune associazioni ritengono 9 mila. Tra questi, molti bambini,
sottratti alle loro famiglie. L’obiettivo dell’associazione “Pro Busqueda” è proprio
quello di ritrovare, di ripercorrere, di ricostruire gli itinerari di questi bambini
perché il più delle volte si tratta di giovani, quasi adulti, che non sanno quali
siano le loro origini.
D. – Quando è nata l'associazione
e quanti casi finora ha risolto?
R. – L’associazione
è nata nel 1994, quindi a guerra civile conclusa; l’iniziativa è di un padre gesuita,
Jon Cortina. Venne fondata l’associazione che, appunto, con grande fatica, dovendo
sfidare anche un po’ l’omertà e il silenzio che era calato su questi fatti, iniziò
il suo lavoro e ad oggi sono stati registrati 780 casi di scomparsa di bambini e di
questi ne sono stati risolti 317. Risolti, cosa vuol dire? Significa che a questi
bambini è stato consentito di trovare, in qualche modo, le proprie origini, è stato
– in molti casi – anche possibile organizzare un incontro tra ragazzi, giovani che
il più delle volte vivono in famiglie adottive e le loro famiglie di origine.
D.
– Per quale motivo i bambini venivano dati in adozione?
R.
– La guerra civile è stata sanguinosa e ha violato qualunque diritto umano. Quantomeno
però ci si fermava di fronte ai bambini, nel senso che in questi attacchi che i militari
o i paramilitari compivano venivano salvati in qualche modo questi bambini. Venivano
di solito portati in orfanotrofi e poi da lì dati in adozione, alcune volte in modo
del tutto illegale, venivano adottati dagli stessi militari, in altri casi – più frequentemente
– i bambini venivano poi inseriti nei circuiti dell’adozione. Sicuramente c’era poi
un discorso anche di sfruttamento economico di questo problema. Va detto però che
le famiglie che hanno adottato questi bambini non sapevano nulla.