2008-05-26 14:51:22

Speranze e difficoltà dei cristiani nei Paesi arabi: la testimonianza di mons. Fitzgerald


Negli ultimi tempi si sono succeduti importanti segnali di dialogo tra le religioni. Nella recente Conferenza interreligiosa a Doha, in Qatar, si è sottolineato, in particolare, che “i capi religiosi devono educare le nuove generazioni alla pace e al rispetto reciproco”. Il re dell’Arabia Saudita si è inoltre ripetutamente espresso a favore del confronto fra musulmani, cristiani ed ebrei, finalizzato a una “coesistenza pacifica”. Ma, nonostante questi segnali incoraggianti, la situazione dei cristiani in diversi Paesi arabi continua ad essere talvolta difficile. Ascoltiamo al microfono di Giovanni Peduto, il nunzio apostolico nella Repubblica Araba di Egitto, l’arcivescovo Michael Fitzgerald, delegato della Santa Sede presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi:RealAudioMP3

R. - E’ un momento difficile per le comunità cristiane, a causa del conflitto israelo-palestinese, a causa della guerra in Iraq, dove l’intervento dell’Occidente è visto come un intervento dei cristiani. Questo rende difficile la situazione dei cristiani autoctoni che non sono occidentali. C’è, dunque, una certa persecuzione o sfiducia nei cristiani, nel pensare che loro siano filoccidentali. Questo comporta la loro emigrazione. L’emigrazione diviene un movimento e non è solo di alcune persone, di alcuni individui, ma di tutto un gruppo. E questo andare via di tante persone indebolisce le comunità cristiane. Non è, dunque, un momento facile. Ci sono differenze da un Paese all’altro. In Egitto, dove mi trovo, non parlerei di persecuzioni. C’è una certa discriminazione in alcuni campi, ma i cristiani possono pregare apertamente e non sono nascosti. Le feste di Pasqua sono vissute con gioia.

 
D. – Nel Qatar i cristiani hanno inaugurato la loro prima Chiesa. C’è la speranza di possibili sviluppi di questo tipo anche altrove?

 
R. – Credo che quasi tutti i Paesi del mondo arabo abbiano chiese. L’unico Paese che resiste è l’Arabia Saudita. Anche lì vediamo una trasformazione della società e dobbiamo dire che la visita del re Abdullah al Santo Padre è stata una novità, una iniziativa che dà speranza. Ma è tutta la società saudita che deve cambiare, non solo nei rapporti tra musulmani e cristiani. Dovrebbe avvenire una specie di liberalizzazione in questa società. Ci sono delle difficoltà in questo campo, talvolta, per avere il permesso necessario per costruire una chiesa o per ripararla, fare i lavori necessari. Ma questo è sempre negoziabile. Sono, quindi, questioni locali.

 
D. – Le sue speranze per il futuro sul dialogo islamo-cristiano ...

 
R. – Ho accolto con gioia questa iniziativa dei 138 musulmani che hanno scritto al Papa e ad altri capi cristiani, proponendo un dialogo sulla base dell’amore: l’amore per Dio, l’amore del prossimo. Il dialogo non è l’unica forma. Gli incontri tra musulmani e cristiani continuano e si sviluppano. Io vorrei vedere questo dialogo a tutti i livelli: a livello di quartiere, a livello degli studenti, a livello dei contadini ... Questo non è sempre facile, ma si può cercare di sviluppare questo dialogo. Poi è necessario un dialogo di collaborazione. Credo che i problemi del nostro mondo siano talmente grandi che ci voglia la forza di tutti i componenti dell’umanità, componenti che abbiano uno spirito religioso e che possano dare un aspetto religioso per la soluzione di questi problemi, nel rispetto della dignità della persona umana. Credo che il campo lì sia aperto per una maggiore cooperazione tra cristiani e musulmani.







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