Speranze e difficoltà dei cristiani nei Paesi arabi: la testimonianza di mons. Fitzgerald
Negli ultimi tempi si sono succeduti importanti segnali di dialogo tra le religioni.
Nella recente Conferenza interreligiosa a Doha, in Qatar, si è sottolineato, in particolare,
che “i capi religiosi devono educare le nuove generazioni alla pace e al rispetto
reciproco”. Il re dell’Arabia Saudita si è inoltre ripetutamente espresso a favore
del confronto fra musulmani, cristiani ed ebrei, finalizzato a una “coesistenza pacifica”.
Ma, nonostante questi segnali incoraggianti, la situazione dei cristiani in diversi
Paesi arabi continua ad essere talvolta difficile. Ascoltiamo al microfono di Giovanni
Peduto, il nunzio apostolico nella Repubblica Araba di Egitto, l’arcivescovo Michael
Fitzgerald, delegato della Santa Sede presso l’Organizzazione della Lega degli
Stati Arabi:
R. - E’ un
momento difficile per le comunità cristiane, a causa del conflitto israelo-palestinese,
a causa della guerra in Iraq, dove l’intervento dell’Occidente è visto come un intervento
dei cristiani. Questo rende difficile la situazione dei cristiani autoctoni che non
sono occidentali. C’è, dunque, una certa persecuzione o sfiducia nei cristiani, nel
pensare che loro siano filoccidentali. Questo comporta la loro emigrazione. L’emigrazione
diviene un movimento e non è solo di alcune persone, di alcuni individui, ma di tutto
un gruppo. E questo andare via di tante persone indebolisce le comunità cristiane.
Non è, dunque, un momento facile. Ci sono differenze da un Paese all’altro. In Egitto,
dove mi trovo, non parlerei di persecuzioni. C’è una certa discriminazione in alcuni
campi, ma i cristiani possono pregare apertamente e non sono nascosti. Le feste di
Pasqua sono vissute con gioia.
D. – Nel Qatar i cristiani
hanno inaugurato la loro prima Chiesa. C’è la speranza di possibili sviluppi di questo
tipo anche altrove?
R. – Credo che quasi tutti i
Paesi del mondo arabo abbiano chiese. L’unico Paese che resiste è l’Arabia Saudita.
Anche lì vediamo una trasformazione della società e dobbiamo dire che la visita del
re Abdullah al Santo Padre è stata una novità, una iniziativa che dà speranza. Ma
è tutta la società saudita che deve cambiare, non solo nei rapporti tra musulmani
e cristiani. Dovrebbe avvenire una specie di liberalizzazione in questa società. Ci
sono delle difficoltà in questo campo, talvolta, per avere il permesso necessario
per costruire una chiesa o per ripararla, fare i lavori necessari. Ma questo è sempre
negoziabile. Sono, quindi, questioni locali.
D. –
Le sue speranze per il futuro sul dialogo islamo-cristiano ...
R.
– Ho accolto con gioia questa iniziativa dei 138 musulmani che hanno scritto al Papa
e ad altri capi cristiani, proponendo un dialogo sulla base dell’amore: l’amore per
Dio, l’amore del prossimo. Il dialogo non è l’unica forma. Gli incontri tra musulmani
e cristiani continuano e si sviluppano. Io vorrei vedere questo dialogo a tutti i
livelli: a livello di quartiere, a livello degli studenti, a livello dei contadini
... Questo non è sempre facile, ma si può cercare di sviluppare questo dialogo. Poi
è necessario un dialogo di collaborazione. Credo che i problemi del nostro mondo siano
talmente grandi che ci voglia la forza di tutti i componenti dell’umanità, componenti
che abbiano uno spirito religioso e che possano dare un aspetto religioso per la soluzione
di questi problemi, nel rispetto della dignità della persona umana. Credo che il campo
lì sia aperto per una maggiore cooperazione tra cristiani e musulmani.