Iniziata in Vaticano la visita "ad Limina" dei vescovi del Myanmar. La Conferenza
dei Paesi donatori stanzia 100 milioni di dollari per le vittime del ciclone Nargis
E’ iniziata questa mattina, e si protrarrà fino a sabato prossimo, la visita ad Limina
in Vaticano dei vescovi del Myanmar. Benedetto XVI ha ricevuto oggi i primi cinque
presuli del Paese, recentemente salito alla ribalta delle cronache per la catastrofe
umanitaria provocata, all’inizio del mese, dal ciclone Nargis, che ha fatto oltre
– secondo stime dell’ONU - 30 mila morti e 2 milioni e mezzo di senzatetto. Mentre
a Yangon, la Conferenza dei Paesi donatori ha iniziato da ieri a farsi carico in modo
organico della tragedia, per i vescovi dell’ex Birmania è il momento di aggiornare
il Papa e la Curia Romana anche sullo stato di salute della Chiesa locale, che rappresenta
una piccola minoranza in un Paese di tradizione buddista. Il servizio di Alessandro
De Carolis: Seicentotrentamila
cattolici in libertà “vigilata”. Una minuscola comunità, disseminata tra 40-45 milioni
di buddisti, che vive la propria fede nel Vangelo sotto la stretta sorveglianza da
parte delle autorità militari al potere in Myanmar. Ma una Chiesa viva, che ha nel
suo DNA delle origini l’apostolato dei missionari - furono i portoghesi nel XVI secolo
i primi a toccare il Paese, mentre l’istituzione della gerarchia risale al 1955 -
e che oggi deve molto della sua vitalità ai religiosi e ai catechisti. Senza dimenticare
la costante evangelizzazione che arriva “via etere” sulle onde di Radio Veritas, l’emittente
cattolica della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Asia con sede a Manila,
nelle Filippine, che trasmette anche in birmano ed è molto seguita soprattutto nelle
aree rurali del piccolo Stato asiatico. Il disastroso passaggio del ciclone Nargis,
tra il 2 e il 3 maggio scorsi, ha brutalmente spezzato il quarantennale isolamento
imposto al Myanmar dalle varie gerarchie militari a partire dal 1962: isolamento rilanciato
tra la generale riprovazione internazionale nel 1990, quando le elezioni per l’Assemblea
costituente volute dalla Giunta militare allora al potere videro brillare la stella
di Aung San Suu Kyi. La schiacciante vittoria riportata in quella circostanza dalla
leader della Lega nazionale per la democrazia (NLD) venne cancellata da un nuovo colpo
di Stato militare e dal primo dei numerosi arresti cui la stessa San Suu Kyi - Premio
Nobel per la pace nel 1991 - è stata ed è tuttora oggetto. Le
restrizioni che gravano sulla vita sociale e politica dell’ex Birmania hanno avuto
inevitabili riflessi sui fedeli locali. L’avvento dei militari negli Anni Sessanta
portò alla nazionalizzazione delle chiese cattoliche, dei lebbrosari e degli ospedali
e all’espulsione dal Paese di 239 missionari. E i 188 preti diocesani e la sessantina
di missionari stranieri rimasti, insieme con i loro fedeli, non hanno mai visto un
Papa posare il piede nel loro Paese. Giovanni Paolo II lo “sfiorò” nel maggio del
1984, durante il suo viaggio apostolico in Thailandia. In quella occasione, diversi
vescovi birmani ebbero la possibilità di incontrarlo e lo stesso accadde nel novembre
1986, quando una delegazione della Chiesa in Birmania salutò personalmente Papa Wojtyla
impegnato nel suo 32.mo viaggio internazionale tra l’Asia sudorientale, la Nuova Zelanda
e l’Australia. In questi primi mesi dell’anno, Benedetto XVI
ha avuto modo di parlare più volte del Myanmar e di invocare l’avvio della distensione
interna, oltre che di solidarietà per l’emergenza recente. Emergenza che, poco prima
di partire per Roma, l’arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, ha descritto in una
lettera riportata da Asianews come non “ancora conclusa”. Il 7 gennaio, nell’importante
udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa levò questo
appello: “Et je demande au Seigneur qu'au Myanmar... E
io chiedo al Signore che in Myanmar, con il sostegno della comunità internazionale,
si apra una stagione di dialogo fra il governo e l'opposizione, che assicuri un vero
rispetto di tutti i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”. E
all’udienza generale del 7 maggio scorso, un nuovo richiamo del Pontefice, accorato,
per mobilitare coscienze e risorse verso il Myanmar, messo in ginocchio dalla violenza
della natura e che solo da poche ore, dalla Conferenza dei donatori di Yangon di ieri,
sembra aver aperto in modo più libero le proprie porte all’aiuto internazionale, stimato
in 100 milioni di dollari di stanziamenti a fronte degli 11 miliardi di dollari richiesti
dalla Giunta militare: “Faccio mio il grido di dolore e di
aiuto della cara popolazione del Myanmar, che ha visto improvvisamente distrutte dalla
sconvolgente violenza del ciclone Nargis numerosissime vite, oltre a beni e mezzi
di sussistenza (…) Vorrei inoltre ripetere a tutti l’invito ad aprire il cuore alla
pietà e alla generosità affinché, grazie alla collaborazione di quanti sono in grado
e desiderano prestare soccorso, si possano alleviare le sofferenze causate da così
immane tragedia”.