Al Festival di Cannes, pellicole su Che Guevara e Giulio Andreotti
La vita come spettacolo, nelle sue icone storiche e politiche, nei conflitti spirituali,
nei tormenti della creazione artistica, domina la scena del Festival di Cannes, non
solo nei suoi aspetti esteriori e di costume, così come si possono vedere nelle strade
che circondano il palazzo del cinema, ma anche sullo schermo. A due giorni dalla cerimonia
di premiazione alcuni film ne fanno l’oggetto della loro rappresentazione, lasciandoci
perplessi e commossi. Se rientrano nel novero delle pellicole interessanti, ma troppo
cerebrali sul piano della messa in scena, l’argentino 'La mujer sin cabeza' di Lucretia
Martel, storia ossessiva di una donna che crede di aver inavvertitamente ucciso qualcuno,
il francese 'La frontière de l’aube' di Philippe Garrel, eterna storia di un uomo
alle prese con amori sbagliati e impulsi autodistruttivi e l’americano 'Synedoche,
New York' di Charlie Kaufman, labirintica incursione nei meccanismi della rappresentazione
teatrale, sicuramente faranno parlare di se 'Che' di Steven Soderbergh e 'Il divo'
di Paolo Sorrentino. La pellicola del regista americano, affronta uno dei personaggi
più 'mediatizzati' del XX secolo, Ernesto Che Guevara, leader della rivoluzione cubana.
Se le quattro ore e mezza di durata cercano di entrare a fondo nella personalità e
nelle azioni del protagonista con un’operazione di mimesi attoriale talvolta sorprendente,
'Che' si rivela troppo scopertamente didascalico per convincere un pubblico ormai
smaliziato. Alla fine trionfa il “déjà vu” e l’impressione è quella di un monumento,
della rappresentazione immobile e immutabile di un mito, priva di sfaccettature e
di quell’azione rivoluzionaria, passionaria, ideologica e feroce che ci fu nella realtà.
Lo stesso si può dire per l’operazione condotta da Paolo Sorrentino su uno dei personaggi
che hanno dominato la scena politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo.
'Il divo', che racconta a modo suo, la vita e l’opera di Giulio Andreotti, può anche
piacere per l’originalità della messa in scena, ma ci sembra largamente deficitario
nel delineare una personalità così complessa. La sorpresa di questi ultimi giorni
viene tuttavia da 'Adoration' di Atom Egoyan. Il regista canadese compie un’ulteriore
esplorazione nei territori del lutto, coniugando un atto così intimo e privato con
una questione politica scottante, quella del rapporto fra ebrei e musulmani. Al centro
del film un’insegnante di francese e uno studente molto dotato sul piano drammaturgico,
la storia inventata di un padre terrorista e criminale e quella vera di un tragico
incidente stradale, la rabbia che si trasforma in rispetto, il dolore della memoria
che si scioglie nella commozione: se 'Adoration' non soddisfa gli amanti della radicalità
a tutti costi, esso parla a tutti coloro che credono nel dialogo, nella comprensione,
nell’amore dell’uomo per l’uomo. (Da Cannes, Luciano Barisone)