Violenza xenofoba in Sudafrica: la testimonianza di un missionario scalabriniano
Non cessa l'ondata di violenze xenofobe in Sudafrica. Nella notte un cittadino del
Mozambico è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella provincia orientale di Mpumalanga.
Fonti locali riferiscono di auto incendiate e di saccheggi in negozi gestiti da somali,
mentre centinaia di immigrati originari dello Zimbabwe, Somalia e Mozambico hanno
cercato rifugio nei commissariati. Il presidente Thabo Mbeki ha disposto il dispiegamento
dell’esercito al fianco dei poliziotti per tentare di sedare le violenze, che in una
decina di giorni hanno provocato la morte di 42 persone. Sulla drammatica situazione
in Sudafrica, ascoltiamo la testimonianza di padre Mario Tessarotto, missionario
scalabriniano, che da anni si occupa a Città del Capo di immigrati e rifugiati. L’intervista
è di Salvatore Sabatino:
R. –
Adesso c’è la miseria. Ci sono almeno 4 milioni di persone affamate, che si sono riversate
in Sudafrica, creando una situazione, soprattutto nelle zone vicino a Johannesburg,
di grande difficoltà.
D. – La situazione dunque è
ancora tesa...
R. – E’ ancora tesa a Johannesburg.
Qui abbiamo riunioni sopra riunioni per cercare di evitare le violenze nella zona
di Città del Capo.
D. – Voi cosa avete deciso di
fare per aiutare queste persone concretamente?
R.
– Noi andiamo sul posto. Io lavoro con i rifugiati. So che durante l’ultimo attacco
ai somali, a 140 km dal Capo, la polizia se ne stava a guardare. Allora, dopo le nostre
rimostranze - perché io ho deciso di accusare il capo della polizia presso il ministero
e presso il suo capo qui a Città del Capo - hanno mandato qualcuno per cercare di
calmare la gente. Ma questi, quando la polizia se ne va, riattaccano.
D.
– Insomma, c’è il rischio concreto che gli scontri possano infiammare anche il resto
del Paese?
R. – Non credo, perché sono solo gli scalmanati
dell’ANC. La maggioranza della popolazione sudafricana è completamente avulsa e contraria
a questo. E quello che non ricordano i capi dell’ANC è che loro stessi sono stati
rifugiati in altri Paesi e sono stati accolti bene. Qui, invece, non fanno niente
per insegnare alla gente che queste cose non si fanno.