Il cardinale Martino all'Università Politecnica di Ancona: le differenze non ostacolino
il dialogo
Le diversità sociali, economiche e politiche e le marcate differenze culturali e religiose
non devono costituire un ostacolo alla reciproca comprensione e ad una fattiva collaborazione
tra i popoli e le nazioni del mondo. Lo ha detto il cardinale Renato Raffaele Martino,
presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, parlando ieri pomeriggio
all’Università Politecnica della Marche in Ancona. Rivolgendosi al corpo accademico,
agli studenti e alle numerose personalità civili e religiose intervenute all’assise,
il porporato ha ricordato che la Chiesa riconosce in tutte le culture semi di verità
e valori autenticamente umani e umanizzanti e quindi apprezza e favorisce con tutti
i suoi mezzi un dialogo fruttuoso con esse per meglio servire il bene integrale di
tutti gli uomini. Per la Chiesa ciò costituisce un dovere e una sfida cui non può
rinunciare.
La Chiesa inoltre auspica che un dialogo si realizzi tra i diversi
gruppi sociali, particolarmente quando ci sono divergenze da ricomporre. A tal fine
il cardinale Martino, citando il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, ha
rilevato che il dialogo deve favorire la dignità integrale della persona umana e che
la vita sociale è un campo particolarmente propizio per istituire tale dialogo, soprattutto
quando le sfide che abbiamo di fronte si manifestano con il volto terrificante della
violenza terroristica. Ma ciò non basta: dal dialogo si deve passare alla cooperazione,
che è lo strumento di cui dispongono le relazioni internazionali per garantire una
solidale comprensione e concreta unità d’azione tra gli Stati, le organizzazioni
interstatali e gli enti non governativi. Per raggiungere tale risultato – ha sottolineato
il presidente di Giustizia e Pace nel suo discorso all’Università Politecnica delle
Marche – è però necessario colmare il divario provocato dai diversi gradi di sviluppo,
sia a livello economico sia sul piano della forza politica e della capacità degli
Stati di partecipare alle relazioni internazionali come protagonisti.
Il porporato
ha quindi insistito sul concetto che la collaborazione allo sviluppo di tutto l’uomo
e di ogni uomo è un dovere di tutti verso tutti e va realizzata in ogni parte del
mondo altrimenti non può avvenire che a spese delle altre. Va concepita in senso integralmente
umano, cioè non limitarsi ai contenuti economici ma abbracciare anche la dimensione
spirituale, con rispetto di tutti i diritti fondamentali della persona e tra questi,
in particolare, quelli inerenti alla coscienza umana. Auspicando un’equa concertazione
mondiale per lo sviluppo, capace di superare ogni posizione di prepotenza e di asservimento,
il cardinale Martino ha sottolineato che, pensata come seme di pace, la cooperazione
internazionale non si può ridurre all’aiuto e all’assistenza, addirittura mirando
ai vantaggi di ritorno per le risorse messe a disposizione, ma deve esprimere un impegno
concreto e tangibile di solidarietà, tale da rendere i poveri protagonisti del loro
sviluppo e consentire al maggior numero di persone di esplicare, nelle concrete circostanze
in cui vivono, la creatività tipica dell’essere umano, da cui dipende la vera ricchezza
delle nazioni.