Domani a Roma la Festa dei Popoli sul tema "Siamo tutti migranti"
Si celebra domani a Roma la Festa dei Popoli sul tema “Siamo tutti migranti”. La manifestazione,
giunta quest’anno alla 17.ma edizione, è occasione di accoglienza dei nuovi arrivati
e di sensibilizzazione sulle responsabilità nei confronti dell’immigrazione da parte
della comunità cristiana e di tutte le altre realtà sociali. All’evento, organizzato
dai Missionari Scalabriniani in Piazza San Giovanni in Laterano, interverranno rappresentanti
di diverse comunità etniche e religiose provenienti da tutti i continenti. Tra i momenti
salienti della giornata, il dibattito organizzato dai laici scalabriniani, con interlocutori
del mondo politico e culturale, e la Santa Messa nella Basilica Lateranense. Ma quale
significato ha quest’anno la Festa dei Popoli? Fabio Colagrande lo ha chiesto
al padre scalabriniano, Gaetano Saracino: R.
– La Festa dei Popoli da 17 anni vuole offrire quei criteri idonei, quelle scelte
condivise perché la convivenza fra gli uomini di provenienze diverse possa essere
possibile. Noi lo sperimentiamo: questo vogliamo dire e dare alla città di Roma, dove
la Festa dei Popoli si propone nel cuore della Chiesa ma anche della città: Piazza
San Giovanni e la Basilica di San Giovanni in Laterano, che per la fede ha un suo
significato innegabile.
D. – Padre Gaetano, una festa
che vuole dare visibilità alla grande parte positiva della integrazione tra immigrati
e non, ma una festa che vuole anche dare visibilità ad un ruolo particolare che la
Chiesa ha ...
R. – Tutto ciò che è cristiano è profondamente
umano, e noi ci accorgemmo negli anni Novanta, in quella sensibilità che appunto c’era
già nella città di Roma, che c’era bisogno di accoglienza. La Chiesa si organizza
con delle “cappellanie”, si organizza con dei luoghi di culto per queste persone che
provenivano da nazioni lontane dalla nostra. In queste cappellanie si è andato formando
uno spirito di appartenenza a qualcosa o a qualcuno e tutti insieme, con le proprie
caratteristiche e particolarità, tutti parte di un’unica famiglia umana: quella dei
Figli di Dio. La Festa dei Popoli, in tutti questi 17 anni, ha potuto anche segnare
un percorso: se negli anni Novanta si parlava di “accoglienza”, attorno al 2000 si
è parlato di “integrazione”, oggi si parla di “appartenenza”. Quindi, dell’immigrazione
se ne vede anche la parte valoriale, quella che proprio può condividere con noi che
li abbiamo accanto, questi nostri amici provenienti da tante altre parti del mondo,
quelle che sono le loro vere esigenze, ma anche le loro vere ed autentiche espressioni.
Allora, tutto quanto questo lo vogliamo dire con una festa: perché lo si può fare
con un incontro, lo si può fare con pubblicazioni, però una festa, forse, è anche
il messaggio più immediato che sa anche colpire coloro che vi partecipano e sa anche
far ravvedere alcuni giudizi che a volte sono troppo semplici o troppo condizionati
– ahimé! – anche da episodi di cronaca che ci sono, che fanno sì che si veda più un
albero che cade che non una foresta che cresce.