Tredici capi di Stato, fra cui il capo della Casa Bianca George Bush, e migliaia di
ospiti fra cui statisti, intellettuali, scrittori, filosofi e scienziati sono convenuti
a Gerusalemme per partecipare alla conferenza organizzata dal presidente israeliano
Shimon Peres in occasione del 60.mo anniversario della fondazione di Israele, che
ricorre oggi. Il servizio di Fausta Speranza.
Tema
dei lavori della Conferenza a così alto livello è il futuro di Israele, ma anche del
popolo ebraico e del mondo intero. “Non ci saranno solo parole – ha promesso Peres
- ma anche azioni”. Domani interverranno Bush, l'ex segretario di Stato Henry Kissinger,
il filosofo francese Bernard Henry Levi, lo scrittore israeliano Amos Oz, lo stesso
Peres e il premier di Israele Olmert. Non si parlerà solo di politica. Fra gli invitati
figurano anche scrittori famosi, come l'italiano Erri de Luca e gli statunitensi Elie
Wiesel e Jonathan Safran Foer. In occasione degli accordi di Oslo (1993) con l'Olp,
Peres aveva intravisto profilarsi all'orizzonte un 'Nuovo Medio Oriente, nel senso
di una regione di cooperazione armoniosa e di fratellanza. L'orizzonte che si profila
15 anni dopo appare molto distante da quella visione. Ma uno dei dibattiti della conferenza
si intitola proprio: “Il Nuovo Medio Oriente: perchè non c'è ancora?”. Resta da dire,
in particolare, della calorosa accoglienza riservata al presidente Bush. Nei brevi
indirizzi di benvenuto il presidente Peres e il premier Olmert hanno sottolineato
l'intimità dei rapporti tra Israele e Stati Uniti e hanno ringraziato Bush per il
continuo sostegno nei confronti dello Stato ebraico. Bush ha risposto riaffermando
la stretta amicizia e alleanza tra i due Paesi, sottolineando i valori che li accomunano
e il comune e costante impegno nella lotta al terrorismo.
Dunque in Israele
si sta festeggiando per i 60 anni di fondazione dello Stato: ma con quali sentimenti?
Stefano Leszczynski lo ha chiesto al padre francescano David Maria Jaeger,
della Custodia di Terra Santa:
R. – Per gli israeliani, è sempre
emozionante, anche dopo 60 anni, pensare a come questo Stato sia nato dalle ceneri
dell’Olocausto. Quindi, il primo sentimento dell’ebreo israeliano è quello di avere
gli strumenti per tutelare la propria esistenza. Naturalmente, il sogno dello Stato
ebraico deve ancora essere compiuto dalla pace con tutti i vicini.
D.
– Israele è anche lo Stato che ospita i luoghi santi delle grandi religioni monoteiste.
Come si conciliano questi aspetti?
R. – Questa consapevolezza
profonda si esprime fin dalla stessa dichiarazione di indipendenza che vi fa effettivamente
riferimento.
D. – Come si sviluppano oggi i pellegrinaggi
e come vengono vissuti da Israele i pellegrinaggi in Terra Santa?
R.
– Lo Stato da importanza ai pellegrinaggi, non solo sotto il profilo economico ma
anche come occasione privilegiata di incontro.
D.
– Come vive oggi la Chiesa in Israele?
R. – La Chiesa
in Israele, come comunità dei credenti, è un’esigua minoranza, come lo è anche nei
confinanti territori palestinesi. In Israele, secondo i dati statistici, ci sarebbero
7 milioni di cittadini residenti; tra questi ci sarebbero 119 mila cristiani di etnia
ed espressione araba e circa 30 mila cristiani di espressione ebraica, cioè cristiani
che o sono ebrei convertiti – pochi – o sono discendenti di ebrei convertiti o fanno
parte di famiglie miste o che comunque vivono in mezzo alla popolazione ebraica e
ne condividono le esperienze. Queste popolazioni diverse all’interno della Chiesa
vivono anche le ricorrenze nazionali e in particolare l’indipendenza o le celebrazioni
della ricorrenza dell’indipendenza dello Stato. La comunità cristiana di Israele dà
esempio di come la fede in Cristo, Redentore dell’umanità tutta intera, supera le
divisioni nazionali e fornisce un terreno superiore sul quale tutti si possono incontrare,
in comunione.