In Libano, la situazione resta sempre grave. Il bilancio, ancora provvisorio degli
scontri di ieri tra le milizie sciite di Hezbollah e i filogovernativi antisiriani
è salito ad almeno 11 morti e venti feriti. Questa mattina, uomini armati del movimento
sciita filoiraniano hanno imposto l'oscuramento dell'emittente televisiva libanese
“Future News”, di proprietà del leader della maggioranza di governo antisiriana, Saad
Hariri. Già erano stati ridotti al silenzio tv e radio vicine all’esecutivo. Il servizio
è di Benedetta Capelli:
E’ una
città in guerra, Beirut, dove porto ed aeroporto continuano ad essere bloccati. La
parte ovest è ormai completamente nelle mani di Hezbollah, mentre i miliziani del
partito del leader della maggioranza parlamentare antisiriana hanno deposto le armi
nell'ultimo distretto della capitale libanese che ancora controllavano, e al loro
posto si è schierato l’esercito. E’ un’atmosfera da guerra civile che purtroppo Beirut
conosce bene. Stamani, un razzo ha colpito il muro di cinta della residenza
del leader della maggioranza antisiriana, Saad Hariri, senza provocare vittime. Tutto
è iniziato a causa di alcune decisioni assunte dal governo di Beirut: decisioni
equiparate dai vertici di Hezbollah ad "una vera e propria dichiarazione di guerra".
Parole di fuoco che hanno infiammato la città, con un effetto domino che ha coinvolto
ben sei quartieri. Testimoni sul posto parlano di una notte trascorsa tra combattimenti
strada per strada, esplosioni, colpi d’arma da fuoco ma anche lancio di granate. Intanto,
la popolazione civile, colta dal panico, ha preso d’assalto i negozi alimentari per
fare scorta di generi di prima necessità, mentre la diplomazia internazionale esprime
tutta la sua preoccupazione. L'Unione Europea, deplorando le violenze ha chiesto alle
"opposte fazioni di porre fine" agli scontri. L'Arabia Saudita, invece, stretto
alleato del governo libanese, ha formalmente richiesto la convocazione di un vertice
straordinario dei ministri degli Esteri arabi per esaminare la crisi. La Siria, sostenitrice
dell’opposizione libanese, ha detto di considerare quanto sta accadendo “una vicenda
interna” mentre Israele vede l’Iran soffiare sul fuoco degli scontri.
L’esplosione
di violenza di queste ore in Libano rappresenta il punto di tensione più alto di una
crisi politico-istituzionale che dura nel Paese da molto tempo. Stefano Leszczynski
ha sentito Antonio Ferrari, esperto delle vicende libanesi ed inviato speciale
del Corriere della Sera:
R. -
Credo che questa crisi dimostri come Hezbollah non sia una forza prevalentemente libanese,
composta da una parte estremista del movimento sciita, ma che stia agendo anche per
conto terzi. Sappiamo che il movimento Hezbollah è sostenuto dall’Iran e io credo
che ci siano forti interessi nel creare una situazione di forte instabilità in Libano.
A mio parere, il dato politico più importante che emerge da questa situazione di estrema
tensione è che le due parti in conflitto non riescono a trovare una strada di dialogo
e quando due schieramenti in un Paese così delicato e fragile non riescono a trovare
la strada del dialogo purtroppo l’unico sbocco è quello dello scontro.
D.
- Un indice della gravità della situazione libanese può essere la dura presa di posizione
della comunità internazionale. Le Nazioni Unite hanno addirittura minacciato di rivedere
le regole di ingaggio per il proprio contingente...
R. - Hezbollah ha
forzato da tempo il gioco politico, è la sua strategia. Già si era manifestata la
volontà di alcuni Paesi di rivedere le regole di ingaggio del contingente UNIFIL,
trasformando dunque quella che è una missione di sorveglianza della frontiera tra
Libano e Israele, secondo il mandato del 2006, in una missione che possa intervenire
e disarmare i contendenti. Questo è accaduto più di una volta per quanto riguarda
Hezbollah e questo credo che ad un certo punto possa essere un passaggio veramente
delicato e pericoloso. C’è da chiedersi se Hezbollah non attenda altro che questo
per lanciare un’offensiva. Certo, quello che è accaduto a Beirut e nel Libano fa pensare
che ci sono le condizioni per un’eventuale nuova guerra civile, che non sarà magari
come quella degli anni ’80, ma che potrebbe essere devastante. Questo è un momento
di una delicatezza estrema ed è bene che qualcuno si muova.