A poco più di 24 ore dal passaggio di consegne presidenziali al suo delfino, Dmitri
Medvedev, Vladimir Putin ha ottenuto come candidato premier il voto di fiducia dalla
Duma, il ramo basso del parlamento, tornando così alla carica ricoperta per alcuni
mesi nel 1999. A suo favore, 392 voti, un dato record, garantito dall'appoggio non
solo del partito da lui guidato (Russia Unita), ma anche da Russia Giusta e dai liberaldemocratici
del leader ultranazionalista, Zhirinovski. I voti contrari sono stati 56, quelli dei
comunisti. Ora Putin ha una settimana di tempo per presentare a Medvedev la squadra
di governo. La votazione è avvenuta dopo un intervento in aula di un'ora di Putin,
che ha toccato i principali temi sociali ed economici: riduzione dell'inflazione ad
una cifra (ora è al 14%), aumento dei salari minimi, riforma della legislazione finanziaria,
fiscale e tributaria, per agevolare investimenti e sviluppo, maggiori libertà e tutele
nelle attività imprenditoriali, lotta al sommerso e ai raid economici illegali. Il
discorso è stato seguito da Medvedev e interrotto da numerosi applausi. La Russia,
dunque, ha un nuovo premier. Proprio in queste ore, Mosca ha annunciato la propria
adesione alle sanzioni ONU nei confronti dell’Iran, a causa del programma nucleare
della Repubblica islamica, ma ha anche minacciato un aumento delle truppe russe nella
regione georgiana filorussa dell’Abkhazia. Sulla strategia del Cremlino, ascoltiamo
il prof. Mario Nordio, docente di Storia e Istituzioni dell’Asia all’università
Cà Foscari di Venezia, intervistato da Giada Aquilino:
R. -
Si accentua il pragmatismo russo e ciò accade in un momento in cui l’amministrazione
statunitense è oggettivamente in difficoltà per i risultati in Iraq e in cui all’interno
della stessa sorgono dei dubbi a proposito della politica estera.
D.
- In particolare, sull’Iran qual è la linea di Mosca?
R.
- L’Iran è un importante concorrente della Russia, anche dal punto di vista delle
forniture energetiche. Dunque, la Russia ha come politica quella di tenere aperte
due questioni: una è quella del Caspio, l’altra, con un avvicinamento alle posizioni
occidentali e statunitensi, quella delle sanzioni, le quali - ricordiamolo bene -
hanno un spazio pratico estremamente ridotto.
D.
- Finora, nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Russia aveva però appoggiato l’Iran…
R.
- L’aveva appoggiato cercando di negoziare con Teheran, cercando quindi di diventare
l’interlocutore di transito fra l’Iran, l’Europa e gli Stati Uniti.
D.
- E la strategia russa nei confronti di Tbilisi?
R.
- È una spina nel fianco di tutti i governi che si sono succeduti dopo l’era sovietica
e da questo punto di vista va risolto. In questo caso, la pressione militare non si
sa se sia di facciata oppure preludio a qualcos’altro.
D.
- Il nuovo premier Putin che indirizzo darà alla Russia?
R.
- Si occuperà prevalentemente di consolidare la posizione della Russia rispetto a
tre partite: la prima è la partita energetica; la seconda quella strategica con gli
Stati Uniti; infine, la terza è la partita con l’Europa.
Intanto Mosca
potrebbe aumentare da 2.500 a 3.000 il numero dei suoi peacekeeper nella regione separatista
georgiana dell'Abkhazia, se Tbilisi rafforzerà le sue forze militari nella stessa
zona: lo ha annunciato in un comunicato il Ministero della difesa russo, come riferisce
l'agenzia Interfax. “Se le strutture di sicurezza georgiane fanno ulteriori passi
concentrando le loro forze nella zona di conflitto, la Russia potrebbe rispondere
adeguatamente rafforzando il contigente di peacekeeper fino al limite massimo”, stabilito
in 3.000 da un accordo del 1994, ha reso noto il ministero. Nei giorni scorsi, le
agenzie avevano riferito che Mosca aveva inviato un migliaio di peacekeeper in aggiunta
ai 2.000 già presenti.