2008-05-06 14:56:52

Presentate in Sala Stampa vaticana le conclusioni della plenaria delle Scienze Sociali: la società civile sia aperta alla logica del dono e non solo al profitto


In che modo i quattro principi fondamentali della Dottrina sociale cattolica - dignità della persona umana, bene comune, solidarietà e sussidiarietà - possono contribuire a trasformare l’epoca della globalizzazione in una “civiltà del bene comune”, dilatando la logica stretta tra Stato e mercato? E’ la domanda di fondo che ha animato il dibattito della 14.ma plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, svoltasi in questi giorni in Vaticano e terminata oggi. Le conclusioni dei lavori sono state presentate stamattina nella Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3


Sottrarre il modello di organizzazione della società dalla morsa che lo comprime tra Stato e mercato. Enfatizzare la cultura del dono, che è tutt’altro che tipica di modelli sociali ormai tramontati, ma anzi produce “bene comune” molto più nell’epoca contemporanea che in passato. Sono alcuni dei punti fermi fissati dai partecipanti alla plenaria delle Scienze Sociali in Vaticano, ribaditi dai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede. A organizzare l’evento sono stati il porf. Pierpaolo Donati, dell’Università di Bologna, e la prof.ssa Margaret Archer dell’Università di Warwick, in Gran Bretagna. Il primo ha subito riferito che uno degli argomenti sui quali le opinioni degli esperti hanno convenuto è appunto la constatazione che il compromesso tra Stato e mercato non è in grado di governare i processi della globalizzazione, dai quali dipendono spesso sperequazioni e ingiustizie:

 
"C’è una morsa tra Stato e mercato per cui gli interessi del mercato e le regolazioni dello Stato prendono il dominio sui gruppi sociali, le formazioni sociali intermedie, le associazioni, le forme di cooperazione, il volontariato e tutte quelle nuove reti in cui - per così dire - nei mondi vitali delle persone si creano ogni giorno dei beni comuni che, tuttavia, vengono non compresi e anzi emarginati dagli attori dello Stato e del mercato, che giocano sugli interessi economici e politici della società. E dunque, il punto di accordo è che occorre fare emergere questa società civile che agisce non per profitto e non su comando della legge, dello Stato".

 
All’interno della società civile, esistono forze in grado di produrre beni condivisibili e ciò - ha spiegato il sociologo Jacques Godbout, dell’Università del Québec, in Canada - dipende dal fatto che attualmente la logica del dono si è rafforzata su scala globale come dimostrano, ha detto, la maggiore diffusione di donazioni d’organi, le crescenti offerte in denaro, la redistribuzione di cibo prodotta ad esempio dal Banco alimentare e perfino, ha aggiunto, le novità che accadono in ambiti d’avanguardia:

 
"Ciò che è molto interessante, adesso, è che ci sono settori nuovi dove il dono è importante in sé, come in Internet: che molte persone preferiscono passare per il dono, condividendo file, più che per il mercato".
 
Da questi esempi emerge che la solidarietà mette in moto una produzione di beni la cui circolazione si deve alla sussidiarietà, ovvero alla capacità delle forze sociali di creare e condividere valori materiali e immateriali in risposta a bisogni. Sul punto, la prof.ssa Archer ha osservato:

 
"One conclusion, I think, we have come to...
Una delle conclusioni alle quali credo siamo arrivati è la presa di coscienza che quando parliamo del bene comune non sempre parliamo della stessa cosa. Infatti, parliamo di ‘beni’ comuni, al plurale, che sono differenziati, che possono essere aggiunti, che emergono da nuove pratiche sociali, ma che pure sono tutti vitali per lo sviluppo e il benessere dei singoli esseri umani. In questo c’è anche il riconoscimento, da parte delle istituzioni sociali, della dignità inalienabile della persona umana. E, nello stesso tempo, il consentire l’espressione di diverse forme di “doni” che le singole persone posseggono".
 
Dunque, ha affermato il prof. Donati, il bene comune “non si identifica più con una entità sovraordinata, come può essere quella dello Stato, benché lo Stato abbia certamente un ruolo importantissimo nel produrre, nel preservare il bene comune”. Semplicemnte, lo Stato “non è l’unico attore, non è il monopolista del bene comune”. In quest’ottica, ha concluso, rivela la propria inadeguatezza la comprensione della società civile basata sulla sola “teoria economica”:

 
"La teoria economica presuppone ancora un homo economicus, interessato, che agisce sostanzialmente per profitto. E’ vero che la teoria economica vede anche un attore non egoistico, ma lo considera marginale. La teoria economica pensa il terzo settore come un settore di carità, di beneficenza, non come un settore che crei beni comuni. C’è, quindi, la necessità di arrivare ad una nuova teoria economica e forse anche una nuova teoria politica perché in realtà nel mondo vediamo anche un certo ritorno di statalismo in tante aree del mondo che di nuovo punta, in qualche modo, sulla forza e il monopolio dello Stato e questo non giova a sviluppare quei beni comuni di cui appunto parlavo in precedenza".







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