I vescovi dell'Ungheria in visita "ad Limina" da Benedetto XVI. Il cardinale, Peter
Erdö: la nostra Chiesa lavora per la riconciliazione nel cuore dell'Europa
E' iniziata questa mattina in Vaticano, e durerà fino a sabato prossimo, la visita
ad Limina dei vescovi ungheresi. Benedetto XVI ne ha incontrato questa mattina
un primo gruppo, guidato dal cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest
e presidente della Conferenza episcopale del Paese. Al microfono di Marta Vertse,
incaricata del Programma ungherese della nostra emittente, il cardinale Erdö parla
del piano pastorale che la Chiesa d'Ungheria presenterà in questi giorni al Papa: R.
- Prima di tutto, dobbiamo presentare lo status delle nostre diocesi, cioè le condizioni
nelle quali vive la Chiesa ed anche i parametri di funzionamento del servizio della
nostra Chiesa. Il fatto principale è che - dopo il cambiamento di sistema, dopo il
comunismo - abbiamo potuto riaprire diverse istituzioni. Non è stata una nostra decisione,
ma piuttosto il desiderio della società, che la Chiesa avesse di nuovo scuole proprie,
buoni licei, un’università, diversi istituti sociali e così via. Allo stesso tempo,
bisognava rivitalizzare le parrocchie, che oggi godono di una libertà notevole di
funzionamento. Anche alcuni beni - non beni di produzione ma edifici, usati nel 1948
per scopi di vita religiosa oppure per utilità pubblica - sono potuti ritornare alla
Chiesa. Dunque, dobbiamo rivitalizzare le strutture e allo stesso tempo far risvegliare
le comunità, perché adesso viene teoricamente apprezzato il contributo della Chiesa
alla vita della società, in quanto comunità religiosa. Quindi, abbiamo statistiche,
abbiamo studi approfonditi di tipo sociologico, che affermano, almeno nel nostro Paese,
che quelli che seguono la fede di una Chiesa, di una comunità religiosa determinata,
e che praticano in modo permanente la loro religione, lavorano di più, apprezzano
di più i rapporti umani, provano più fiducia e sollecitano più fiducia nell’ambiente
dove vivono e, soprattutto, sono molto più tolleranti nei confronti degli altri. Quindi,
anche la fiducia, anche il contributo della Chiesa risulta un fattore economico necessario
per la vita della società, anche sotto l’aspetto della società civile. Ma per noi
stessi il compito più attuale sembra la missione, la missione in una società molto
secolarizzata, dove purtroppo le nascite sono molto scarse, il numero della popolazione
diminuisce e, purtroppo, anche la prassi religiosa è abbastanza bassa. Per esempio,
dall’8 fino al 10 per cento dei cattolici della nostra diocesi frequenta ogni domenica
la Santa Messa. Anche i battesimi diminuiscono ed in certe parti del Paese diminuiscono
più rapidamente della diminuzione delle nascite. C’è, dunque, una secolarizzazione
preoccupante. Proprio per questo, non basta l’atteggiamento antico di aspettare nella
canonica perchè vengano i fedeli, ma bisogna assumere un atteggiamento più missionario.
Per questo, in molte diocesi esistono le missioni parrocchiali o diversi programmi
missionari. A Budapest abbiamo avuto una missione cittadina nell’autunno 2007. Ci
sono certamente problemi generali nella società, come la tristezza, la disperazione,
la mancanza di prospettiva per molti, l’alta percentuale della disoccupazione, l’invecchiamento
della popolazione. In emzzo a queste situazioni, dobbiamo essere segni di speranza
ed anche forza di rinascita spirituale. E a tutto questo abbiamo dedicato l’anno 2006:
anno del 50.mo anniversario della rivolta del 1956 e 550.mo anniversario della vittoria
presso Belgrado. Un anno di preghiera per il rinnovamento spirituale di tutta la nostra
nazione.
D. - Eminenza, lei ha detto che la
società ungherese è secolarizzata. D'altra parte, però, ha anche bisogno della Chiesa
e delle sue istituzioni. Che peso hanno l’insegnamento e la dottrina della Chiesa
nelle scelte di tutti i giorni della vita pubblica del Paese?
R.
- Prima di tutto, la società ha bisogno di Cristo, il mondo ha bisogno di Cristo:
ha bisogno di noi cristiani e della Chiesa, in quanto noi siamo testimoni di Cristo,
suoi portatori in questo contesto. Quindi, nemmeno le nostre istituzioni hanno scopi
a sé, ma sono veramente strumenti di una testimonianza cristiana. E questo è un compito
e una meta da raggiungere, perché stiamo lavorando ancora per creare un’atmosfera
cristiana nelle nostre istituzioni. Quindi, non è facile. D’altronde, ci sono anche
bisogni umani generali, come la mancanza di buona educazione, la mancanza di buona
assistenza ai malati, agli anziani e così via. Queste istituzioni, quindi, costituiscono
anche una forma dell’esercizio della misericordia. Tuttavia, più è grande un’istituzione
più è difficile e burocratico il suo funzionamento. Le norme statali cambiano molto
rapidamente e l’amministrazione a volte non riesce a seguire i cambiamenti. Non si
può cambiare il sistema scolastico ogni secondo anno. Quindi, praticamente, il peso
burocratico sui medici, sugli insegnanti, sui professori, sui gestori di istituzioni
è così enorme che rimane poca forza e poca energia, pochi mezzi per la funzione fondamentale
di questi istituti. Per questo, alcuni cominciano a preferire forme di misericordia
cristiana, testimonianza cristiana, che siano meno istituzionalizzate, così da non
subire più di tanto questo pericolo di burocratizzazione nel caso - ad esempio - dei
gruppi della Caritas parrocchiale. Oppure, preferire diversi modi di formazione, corsi,
che non abbiano un’istituzione stabile propria. Eppure, la Chiesa cattolica di Ungheria
ha più di 300 scuole, ha un’università, quattro ospedali, ma in quel settore ci sono
grosse difficoltà in questo momento e ci sono anche molte discussioni circa il finanziamento
della sanità e dell’assistenza sanitaria. D. - Eminenza, sono passati sette
anni dall’ultima visita ad Limina dei presuli ungheresi. Nel frattempo, è cambiato
lo scenario internazionale. L’Ungheria, insieme agli altri Paesi vicini, è diventata
membro dell’Unione Europea. Lei, come presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali
europee, come vede il ruolo della Chiesa che è in Ungheria, nel contesto europeo,
data anche la sua posizione geografica centrale nel cuore del continente?
R.
- Prima di tutto, l’Unione Europea come tale, malgrado ogni discussione circa i valori
- che sono discussioni importanti, non tanto per noi ma per l’Europa - costituisce
una possibilità, una opportunità per i popoli dell’Europa centrale per una riconciliazione,
per una più che pacifica convivenza, una cooperazione creatrice. In questo senso,
la Chiesa cattolica ha sicuramente una possibilità ed un ministero speciale: servire
la riconciliazione e rafforzare la fratellanza tra i popoli. Per questo, abbiamo preso
l’iniziativa di un atto di riconciliazione con l’episcopato della Slovacchia, che
ebbe luogo a Esztergom nel 2006. Abbiamo regolari e buoni rapporti con i vescovi della
Croazia, dell’Austria, della Polonia e adesso incominciamo a cercare una forma istituzionale
regolare di dialogo anche con i vescovi della Romania. Allora, penso che, nel contesto
dell’Unione Europea, la Chiesa possa contribuire fortemente alla riconciliazione,
al perdono, alla purificazione della memoria, quindi alla diffusione di una cultura
della carità.
D. - Eminenza, la sua espressione –
cooperazione creatrice – potrebbe diventare anche un motto per questi Paesi che dovrebbero
incominciare appunto a collaborare? Una bellissima espressione, che bisognerebbe divulgare...
R.
– Sono convinto che sia così, anche perché nella Bolla pontificia della mia nomina
arcivescovile, Giovanni Paolo II ha usato un’espressione molto rara, molto curiosa.
Ha scritto che io devo trovare ispirazioni e lumi per il mio lavoro pastorale nella
storia di questa antica arcidiocesi. Sappiamo che più di mille anni fa, alla fine
del X secolo, è stato Sant’Adalberto, vescovo e martire, che anche nella fondazione,
nella creazione della nostra diocesi ha svolto un’attività missionaria considerevole,
fino al punto che il nostro primo re, Santo Stefano, voleva – subito dopo il martirio
di Sant’Adalberto – far dedicare la cattedrale a Sant’Adalberto. E infatti, la cattedrale
porta a tutt’oggi il suo titolo! Poi, anche i primi vescovi di questa diocesi sono
stati religiosi, compagni di Sant’Adalberto, provenienti dalla Polonia, dai Paesi
vicini ... Poi, anche l’eredità di San Gerardo – San Gerardo Sagredo di Venezia –
che ha caratterizzato gli inizi della nostra Chiesa; anzi, San Gerardo è stato ucciso
per la sua fede, dopo la morte di Santo Stefano, proprio nella città di Budapest.
E quindi lui è il Santo Patrono della città di Budapest. Ecco che già all’inizio abbiamo
un’esperienza profonda di questa collaborazione creatrice di diversi popoli, nel segno
dell’unica fede, e questa collaborazione ha lasciato un ricordo tanto positivo e gioioso
nel nostro popolo, che non ci possiamo rinunciare!