Religiosi contro l'AIDS: Forum internazionale a Roma
Sensibilizzare tutte le Congregazioni religiose sul fatto che l’AIDS è una realtà
complessa e va oltre l’aspetto medico, includendo l’educazione, le condizioni sociali,
economiche, politiche, di giustizia; continuare con il piano di mappatura e sensibilizzare
le comunità religiose per ulteriori interventi, secondo il proprio carisma specifico;
collaborare e lavorare in rete. Sono questi gli obiettivi del Forum Internazionale
sull’impegno di religiosi e religiose per contrastare l’AIDS nel mondo, l’iniziativa
che si terrà a Roma da domani al 5 maggio, promossa dai superiori e dalle superiore
generali di tutto il mondo. Nel corso della tre giorni verranno presentati i risultati
di un’indagine svolta in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per la lotta
all’AIDS e con la Georgetown University. Davide Dionisi ha chiesto a Suor
Maria Martinelli, missionaria comboniana, medico e coordinatrice della ricerca,
come è nato questo progetto:
R. –
Questo progetto nasce dall’esigenza dei religiosi, uomini e donne, di rendere visibile
quello che è il lavoro, l’impegno che insieme si porta avanti nel mondo intero, rispetto
alla pandemia di HIV-AIDS. In effetti il lavoro fatto dai religiosi è molto ampio
e si estende alle regioni più remote del mondo, soprattutto nei Paesi poveri, ma non
solo. Infatti si opera anche in America, in Europa. Chi ha inventato le case famiglia,
le case di accoglienza dei pazienti e soprattutto di quelli morenti di AIDS sono stati
dei religiosi.
D. – Come mai avete scelto la strada
della mappatura?
R. – Abbiamo sentito necessario,
ad un certo punto, quantificare in modo abbastanza scientifico il lavoro che portiamo
avanti. Adesso quando ci rapportiamo con il mondo non religioso, dal quale molte volte
abbiamo sperimentato anche resistenza, quando non addirittura ostilità, non è più
sufficiente dire che stiamo lavorando e che portiamo avanti dei progetti, ma è necessario
dimostrarlo.
D. – Una delle vostre sfide più importanti,
è quella di fare rete?
R. – La sfida è quella di
fare rete soprattutto fra di noi, cominciando fra di noi, così da poter essere poi
una realtà che non si oppone ad altre realtà, ma che ha la possibilità di confrontarsi
con gli altri e di poter dire che le religiose ed i religiosi fanno questo o quello.
D. – Quali sono le difficoltà che avete incontrato
nel corso di questa indagine?
R. – Una delle difficoltà
è quella anche di riuscire a farsi dare dei dati. Noi religiosi siamo, il più delle
volte, delle persone che lavorano molto e che non stanno lì a pensare di dover dimostrare
che stanno lavorando. Non abbiamo una mentalità che ci porta a scrivere o rendere
noto quello che facciamo. Adesso, invece, questo sta diventando importante!