2008-04-29 14:30:13

Sviluppare politiche efficaci per affrontare la crisi alimentare: l’appello di mons. Tomasi, dopo il vertice UNCTAD in Ghana


Si conclude oggi, a Berna, la riunione delle agenzie delle Nazioni Unite, presieduta dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, sulla crisi alimentare mondiale. Sarà proprio una task-force delle Nazioni Unite a gestire la risposta che la comunità internazionale metterà in atto per fronteggiare l'emergenza. A Berna si è discusso dell'aumento dei prezzi delle derrate di base e dell’energia, del calo degli aiuti, della preoccupante congiuntura che minaccia di vanificare i miglioramenti registrati negli ultimi anni per ciò che riguarda situazione alimentare dell’Africa sub-sahariana. Di questi temi, si era discusso anche al recente vertice promosso dall'agenzia ONU per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD), svoltosi ad Accra, in Ghana. Philippa Hitchen ha chiesto all’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra, mons. Silvano Tomasi, i punti sviluppati in quella occasione:RealAudioMP3


R. - L'UNCTAD ha messo l’accento su alcune priorità con le quali si confronta il mondo di oggi. Anzitutto, il segretario generale delle Nazioni Unite ha voluto parlare con forza della crisi di cibo con cui alcuni Paesi devono fare i conti. Parte di questa preoccupazione è dovuta a dimostrazioni di piazza, che la gente ha fatto per mancanza di cibo, come ad Haiti, in Egitto o altri Paesi, soprattutto perché negli ultimi mesi il costo del cibo è cresciuto enormemente. Quindi, la crisi del cibo suscita delle preoccupazioni anche di carattere morale, perché il diritto a mangiare da parte dei più poveri è un diritto naturale, cui dobbiamo rispondere noi come comunità internazionale. Altri punti forti su cui si è discusso molto: il diritto di tutti a partecipare ai benefici della globalizzazione, in modo che non ci siano dei segmenti di popolazione o dei Paesi tagliati fuori. La fase corrente è che un miliardo di persone sono relegate in fondo all’ultimo rango della scala dello sviluppo e che queste persone non ce la faranno ad uscire da questa specie di trappola, se non c’è un’attività e un’azione specifica e decisiva da parte della comunità internazionale. Poi, dato che la conferenza era in Africa, si è guardato con molta attenzione a come dare un nuovo impulso allo sviluppo del continente attraverso l’assicurazione di produzione di cibo, facendo attenzione alla popolazione rurale, perché il 60-70 per cento della popolazione in Africa è ancora legata alla produttività delle loro piccole farms, delle loro campagne e del terreno che coltivano. E ancora, c’è bisogno di favorire la creazione di posti di lavoro, attraverso l’appoggio alla piccola e media industria.

 
D. - Avete anche parlato della responsabilità di aziende straniere, che vanno spesso nei Paesi in via di sviluppo a cercare manodopera a basso costo. Come fate pervenire questo messaggio etico alle aziende che vanno in quei luoghi soprattutto per abbassare i propri costi?

 
R. - E’ vero che c’è uno spostamento delle imprese dai Paesi sviluppati verso Paesi in via di sviluppo per, appunto, avvantaggiarsi dei bassi costi del lavoro. Bisogna, però, anche tener conto che la presenza di queste imprese straniere - se è mantenuta all'interno di parametri giusti, etici - può portare grossi benefici: uno scambio di tecnologia, un aiuto a sviluppare posti di lavoro e l’esempio di una gestione efficace della produttività.







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