Sviluppare politiche efficaci per affrontare la crisi alimentare: l’appello di
mons. Tomasi, dopo il vertice UNCTAD in Ghana
Si conclude oggi, a Berna, la riunione delle agenzie delle Nazioni Unite, presieduta
dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, sulla crisi alimentare mondiale. Sarà
proprio una task-force delle Nazioni Unite a gestire la risposta che la comunità internazionale
metterà in atto per fronteggiare l'emergenza. A Berna si è discusso dell'aumento dei
prezzi delle derrate di base e dell’energia, del calo degli aiuti, della preoccupante
congiuntura che minaccia di vanificare i miglioramenti registrati negli ultimi anni
per ciò che riguarda situazione alimentare dell’Africa sub-sahariana. Di questi temi,
si era discusso anche al recente vertice promosso dall'agenzia ONU per il commercio
e lo sviluppo (UNCTAD), svoltosi ad Accra, in Ghana. Philippa Hitchen ha chiesto
all’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra, mons. Silvano
Tomasi, i punti sviluppati in quella occasione:
R. -
L'UNCTAD ha messo l’accento su alcune priorità con le quali si confronta il mondo
di oggi. Anzitutto, il segretario generale delle Nazioni Unite ha voluto parlare con
forza della crisi di cibo con cui alcuni Paesi devono fare i conti. Parte di questa
preoccupazione è dovuta a dimostrazioni di piazza, che la gente ha fatto per mancanza
di cibo, come ad Haiti, in Egitto o altri Paesi, soprattutto perché negli ultimi mesi
il costo del cibo è cresciuto enormemente. Quindi, la crisi del cibo suscita delle
preoccupazioni anche di carattere morale, perché il diritto a mangiare da parte dei
più poveri è un diritto naturale, cui dobbiamo rispondere noi come comunità internazionale.
Altri punti forti su cui si è discusso molto: il diritto di tutti a partecipare ai
benefici della globalizzazione, in modo che non ci siano dei segmenti di popolazione
o dei Paesi tagliati fuori. La fase corrente è che un miliardo di persone sono relegate
in fondo all’ultimo rango della scala dello sviluppo e che queste persone non ce la
faranno ad uscire da questa specie di trappola, se non c’è un’attività e un’azione
specifica e decisiva da parte della comunità internazionale. Poi, dato che la conferenza
era in Africa, si è guardato con molta attenzione a come dare un nuovo impulso allo
sviluppo del continente attraverso l’assicurazione di produzione di cibo, facendo
attenzione alla popolazione rurale, perché il 60-70 per cento della popolazione in
Africa è ancora legata alla produttività delle loro piccole farms, delle loro
campagne e del terreno che coltivano. E ancora, c’è bisogno di favorire la creazione
di posti di lavoro, attraverso l’appoggio alla piccola e media industria.
D.
- Avete anche parlato della responsabilità di aziende straniere, che vanno spesso
nei Paesi in via di sviluppo a cercare manodopera a basso costo. Come fate pervenire
questo messaggio etico alle aziende che vanno in quei luoghi soprattutto per abbassare
i propri costi?
R. - E’ vero che c’è uno spostamento
delle imprese dai Paesi sviluppati verso Paesi in via di sviluppo per, appunto, avvantaggiarsi
dei bassi costi del lavoro. Bisogna, però, anche tener conto che la presenza di queste
imprese straniere - se è mantenuta all'interno di parametri giusti, etici - può portare
grossi benefici: uno scambio di tecnologia, un aiuto a sviluppare posti di lavoro
e l’esempio di una gestione efficace della produttività.